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Come uomini-ombra che campeggiano statuari ai bordi di un binario morto. Con il forte rischio di scambiare la luce del sole – che da anni contemplano dal chiuso di una cella di tre passi per due – con quella fioca dell’abat-jour che hanno lasciato nella loro stanza da letto il giorno dell’arresto. Ergastolani loro ed ergastolane pure le loro donne: perchè l’ergastolo, sopratutto quello ostativo che non concede benefici o permessi premio, è una morte pagata a rate da ambedue le parti.
In questi giorni vari libri e studi di settore stanno riportando l’attenzione sulla validità o meno di continuare ad insistere con questa pena, già da tempo abbandonata da altri stati Europei. Ricercatori e studiosi di fama internazionale – tra i quali Umberto Veronesi – hanno ampiamento dimostrato come la mente umana si evolva per tutta la vita, con la possibilità di essere continuamente plasmata e rieducata. L’evoluzione perpetua della mente chiede, dunque, di essere tenuta in considerazione quando viene stabilita una pena per il reato, perchè una punizione è giusta solo quando tende al recupero e al reinserimento sociale di una persona. A lavorare nei bassifondi delle galere s’impara ben presto a comprendere il male senza mai giustificarlo; la comprensione, però, ammonisce contemporaneamente a condannare fermamente la colpa cercando di recuperare con la carità il colpevole. Perchè se il senso della detenzione e della pena – come recita la Costituzione Italiana all’articolo 27 – è di “tendere alla rieducazione del condannato”, allora l’ergastolo è una contraddizione in termini. Perchè calarsi dentro l’abisso misterioso di questi uomini e reinsegnare loro a camminare, a scrivere, tante volte addirittura a parlare se laggiù non s’avverte un barlume di luce nella loro vita? Che senso hanno gli sforzi compiuti da uomini e donne che quotidianamente s’affannano per scommettere sull’uomo se poi non ci sono chance da giocarsi? Perchè pure la sfida di riabilitare un’anima dentro un istituto di pena deve sospettare d’essere un semplice palliativo che aiuti ad ammazzare il tempo a disposizione?

Emanuele era poco più che adolescente quando fu condannato all’ergastolo ostativo. Ora, dopo più di vent’anni, a guardarlo negli occhi c’è il forte sospetto che quella pena si stia accanendo contro un altro uomo, contro un Emanuele che è cambiato, s’è sviluppato, ha preso cocienza del male fatto e ne ha preso le distanze. Probabilmente non c’entra più nulla con quel crimine che ha commesso e il perdono ricevuto gli ha fatto molto più male della condanna inflitta perchè non gli ha ancora permesso di trovare una giustificazione al male commesso. Abrogare l’ergastolo ostativo non significa cancellare la responsabilità di una colpa accertata ma semplicemente permettere alla speranza di poter continuare a fiorire anche sul binario morto di questa fetta di umanità. Perchè cancellare definitivamente la parola “speranza” dal loro vocabolario è un po’ come costringere un bambino ad imparare un mestiere e poi lasciarlo chiuso dentro l’angustia della sua camera. Vivrà e crescerà lo stesso, e abbellirà pure la sua cameretta fino a sentirsi quasi bene ma un giorno avvertirà forte il sospetto di essere un morto che cammina.
Per rimanere in piedi dentro queste vite c’è un solo segreto: mettersi in ginocchio, come disse un giorno don Oreste Benzi, dal momento che Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva: l’ha gridato Ezechiele profeta. Non esiste la predisposizione genetica al delitto, esistono persone che vengono influenzate a compiere delitti. Ecco perchè l’uomo – anche il più cattivo – non potrà mai essere il suo errore: rimarrà un frammento di Bellezza deturpatasi da restaurare per riportarla allo splendore originario. Lo splendore della Creazione.

(da Avvenire, 12 luglio 2012)

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