Come un telefonino con una sola tacca di batteria rimasta: si tenta comunque una chiamata ma poco dopo cade la linea. E l’Italia torna a casa con un quadro meraviglioso ma senza la cornice attorno. Di quest’avventura rimane l’avventura di una squadra il cui secondo posto non rimpicciolisce un piccolo bozzetto d’autore costruito partita dopo partita sotto l’egida guida del condottiero Prandelli. Razionale, metodico e infaticabile ma allo stesso tempo un po’ pittore, artigiano creativo e appassionato dei fantasisti e delle teste matte. Dell’Europeo italiano ci rimane lui come splendida figura umana: l’immagine di un mister venuto dalla provincia (Orzinuovi, BS) che conosce l’arte di parlare ai fuoriclasse genetici. Ha trovato una nazionale per terra, l’ha lentamente rimessa in piedi arrischiando la novità, le ha infuso quella certezza di difendersi attaccando, ch’è sempre stato il segreto dei contropiede che hanno scritto la storia dello sport.
Di quest’uomo rimane quel sapore genuino di chi ha conosciuto l’altra faccia della vita. Nel 2004, a contratto con la Roma già in tasca, chiude tutto e sta accanto alla moglie Manuela affetta da una grave malattia. La vita viene prima di tutto e anche il calcio può aspettare: “ho fatto una cosa normale, ho deciso di stare vicino alla mia donna”. Nasce anche qui quell’umilissima arte di parlare al cuore dei ragazzi, di cantarne le lodi senza celebrarne anzitempo la betazificazione, di saper limare i difetti per aiutare i pregi a germogliare. Per fare questo costruisce una famiglia attorno alla sua Nazionale sapendo che le regole tattiche possono cambiare, mutare gli schemi d’allenamento, modificare le tabelle di marcia ma alla base ci sta l’unica benzina indispensabile: la passione. Nello sport come nella vita di tutti i giorni. E per fare questo – da buon artigiano creativo – s’affida all’estro temibile e disarmante di fantasisti-senza-testa. Li mette in campo contro ogni logica, li protegge, li difende come fossero discendenti diretti di una razza in via di estinzione. E loro, lentamente come s’addice a chi non nasce fuoriclasse pure nel comportamento, ne apprezzano il rischio, ne assaporano la difficoltà, si mettono al servizio di un progetto comune perchè scoprono che “fare squadra” non è poi così da oratorio come si potrebbe pensare. Alle sue “prime-donne” non risparmia la dura legge dell’applicazione, perchè il talento senza applicazione non cnduce alla vittoria: o si ama correre, lottare e combattere oppure è meglio scegliersi un altro lavoro: punto e a capo. Poi si può vincere e si può perdere: l’importante è farsi trovare pronti quando la sfida s’accende. E’ questo forse il senso di quell’abbraccio consegnato ad uno-ad-uno a tutti i suoi ragazzi dopo la partita con la Spagna: un’avventura – al pari di un sogno – cresce e si fortifica anche laddove la classe altrui mostra il terreno sul quale continuare ad investire le risorse. Finora non ha vinto nulla d’importante il condottiero Cesare: e su questo i detrattori – con sede fissa all’osteria del paese – si fanno forza per criticarlo. Sarà anche vero, ma ha dimostrato di saper far convivere l’ordine con la fantasia, il genio con il rigore, il metodo con l’estro. Il bianco di Cassano con il nero di Balotelli: per una nazionale a colori.
L’Italia arranca su più fronti e la Chiesa sembra andarle dietro: la politica non la farebbe mai ministro, la Chiesa non gli tributerebbe mai una berretta cardinalizia. Poco importa, il destino di entrambe sembra essere segnato da tempo: allenano ma la squadra non li segue più. Chissà mai che il “metodo Prandelli” non detti tendenza pure a loro: per raccontare la favola educativa di chi, non solo a parole, riesce a rilanciare il suo destino arrischiandosi di investire sul nuovo senza disprezzare il vecchio, valorizzare i cavalli pazzi per rafforzare una storia già nota, ridestare nel cuore della gente la passione di chi, parlando al cuore, ha mostrato in mondovisione che i matti-da-legare non sono poi così imbecilli da tradire i sentimenti. Come nella Chiesa: sono sempre stati i cani fedeli quelli che hanno abbaiato. Gli altri sono sempre stati al soldo dei mercenari.
E, puntualmente, ci fanno perdere le partite.