viso donna triste 001Una vecchia anzitempo. La strada assolata e polverosa che bordeggia la riva del lago, il paese circondato da gran folla che l’attende, gli apostoli che lavorano di braccia e di spalle – fisici possenti di ex pescatori – per fargli largo. Lui delicato e celeste guarda con dolce sorriso quella turba attorno, carezza qualche bambino, posa la mano sul capo degli infanti che le donne gli porgono. E cammina, cammina lentamente: Lui è l’uomo che cammina. “Fate largo, fate largo!”: la voce è riconosciuta e influente, la folla si apre e si fa largo. L’uomo è sulla cinquantina, il fazzoletto bianco attorno al capo e quel ginocchio genuflesso in fronte all’Uomo della Vita: “Maestro, perchè sei stato via tanto tempo, la mia bambina è malata. Vieni, Maestro. Ti attendevo con un’ansia infinita”. L’accarezza, la mano sul capo scosso dai singhiozzi e una consolante benedizione: “Non piangere, la tua bambina vivrà. Andiamo da lei” (liturgia della XIII^ domenica del tempo ordinario)
Dietro s’insultano per star vicino al Maestro: la folla è indiscreta certe volte e Pietro, Giacomo e l’Iscariota fremono per arginarla. E’ un formicolìo colorato e ferito, titubante di loro e certo di Lui, anime in cerca di amore che guarisca. L’Autore della Vita giace nel mezzo della bolgia della vita, laddove urla e grida compongono melodie dolci e affilate, grondanti lacrime e bagnate di sudore. Dove la vita cerca disperatamente ragioni di vita. D’un tratto si volta, lasciando andare anche la mano di Giairo: il suo atteggiamento è da Re. Guarda dall’alto in basso: non come gli uomini per giudicare ma per agganciare quel puntino di polvere e rimetterlo in piedi. Scruta la folla, il suo sguardo ha lampi di maestà e non di durezza. Pietro scoppia a ridere: “Come? Ci si monta sui piedi e tu domandi chi ti ha toccato?” Certo, Pietro: il miracolo è uscito da Lui, adesso si tratta solo di capire dov’era nascosto tra la folla quel granello di fede capace di spostare le montagne. E incuriosire il Maestro. Poveramente vestita, forse sulla quarantina, sciupata nel volto e miseramente intrufolatasi nell’anonimato della folla: una vecchia anzitempo. Lei sì che vorrebbe farsi inghiottire dalla calca, gli occhi di Lui e degli altri le bruciano addosso e le impediscono di fuggire. Torna avanti e Glielo dice a Lui, parla senza parlare, dolcissime parole affidate all’ebbrezza dello sguardo. E Lui a lei: “Va’ in pace, figlia. La tua fede ti ha salvata. Sii guarita per sempre. Sii buona e felice. Và!”.
Lo guardano imbarazzati: a toccarLo è stata un obbrobrio di donna. E Lui si lascia toccare da Lei. Come un giorno si lascerà toccare da mille altre donne accorse al capezzale del suo Regno. Non sono dita affamate di carne, non sono occhi languidi di passione e non è nemmeno voglia di Lui: è che in quell’Uomo alberga la forza della Vita. E la Vita chiede sempre vita per rimanere vita e non diventare occasione di morte. Gliel’avranno detto con tutti gli accenti le comàri al lavabo: “ma sei matta andare da Lui? Toccarlo all’insaputa? Cosa dirà la gente assiepata attorno? Tieniti il tuo male e resisti”. Mai infamia fu più disprezzata da Lui, e lei l’avvertiva: le sarebbe bastato il lembo del mantello – non il pollice del piede, la mano sinistra o lo zigomo destro – per sentirsi a casa nella sua malattia, rilanciata nella Vita: Lui è pur sempre Creatore e mai si sentì che fuggì dalle sue responsabilità. All’artigiano, meglio se artista, rimarrà sempre nel cuore il destino della sua creatura. Del suo capolavoro. Lor donne saranno ancora là – ricamando panni, lavando paramenti sozzi o raccontandosi cianfrusaglie – a dispensare immagini sbagliate di Lui, e troppi crederanno loro anche sui sagrati delle Chiese: “non vorrai mica fare un dispiacere a Dio, vero?”. Storie di ricatti e di spionaggi, di sospetti luciferini e di religiosità errate: invece Lui è Lui, amante della vita e nemico dichiarato della morte. Un giorno i preti inventeranno gli orari d’ufficio e le tabelle per le guarigioni, i testamenti pilotati e le promesse d’immortalità sub specie pecuniae. Questa è la fede di chi non L’ha mai accettato. Ancor oggi, invece, Lui rimane là: sulla strada, impolverato come i suoi amici, a tradurre urla e stringere mani. Sporco di fango e luminoso di cielo, con quel sorriso recondito e fastidioso che racconta l’umile bellezza di rinascere sulla ceneri delle sconfitte. “Che tu sia benedetto in eterno, Maestro”.

“Perdono! Sono io. Ero malata. Dodici anni che ero malata! Sfuggita da tutti. Mio marito mi ha abbandonata. Ho speso tutto il mio avere per essere considerata obbrobrio, per vivere come vivono tutti. Ma nessuno ha potuto guarirmi. Lo vedi, Maestro? Sono una vecchia anzitempo. la forza è defluita da me col suo flusso inguaribile, e la mia pace con essa. M’han detto che tu sei buono. Me l’ha detto uno che è stato guarito da Te dalla sua lebbra e che per essere stato tanti anni sfuggito da tutti non ha avuto schifo di me. Non ho osato dirlo prima, perdono! Ho pensato che solo che ti avessi toccato sarei guarita. Ma non ti ho reso immondo. Ho appena sfiorato il lembo della tua veste là dove striscia al suolo, sulle lordure del suolo… Sono io pure lordura. Ma son guarita, che Tu sia benedetto! Nel momento che ti ho toccato la veste il mio male è cessato. Sono tornata come tutte. Non sarò più schivata da tutti. Mio marito, i miei figli, i parenti potranno stare con me, li potrò accarezzare. sarò utile alla mia casa. Grazie, Gesù, Maestro buono. Che tu sia benedetto in eterno!”
(M. Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, vol. IV)

Dopo di lei, la figlia di Giairo: “ti ripeto: abbi fede, non temere. La tua bambina vivrà”. E la vita continua; rigorosamente sulla strada. Perché ancor oggi, chi di Lui tiene fortuna di contemplarne lo sguardo in visione, racconta la dolcezza di un Uomo mai dimèntico della vita di quaggiù. Perché l’uomo, l’obbrobrio della storia, è ancor oggi la sua scommessa più azzardata. “Che tu sia benedetto in eterno, Maestro”.

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