Una doppia sconfitta che ha il sapore di un’unica immensa vittoria. A Padova lo scorso week-end non è riuscito il tentativo di migliorare i due record (la 12 ore di corsa e di nuoto) per poter entrare nel Guinnes dei Primati, eppure la manifestazione Run for Children è stata la rivincita più bella inflitta al Botellòn di un mese fa. Quella notte migliaia di giovinezze s’erano date appuntamento per inneggiare al bere fine a se stesso mentre la terra tremava e uccideva; l’altra notte migliaia di persone si sono date appuntamento per alimentare la speranza, quella che tenta di dare un futuro a bambini nati e costretti a correre in salita e controvento. E’ stata forse l’unica competizione che, pur fallita nell’obiettivo agonistico, s’è colorata del sapore di una vittoria spettacolare, quella di un’intera città che ha saputo radunarsi attorno ad un segno comune – la corsa – per farlo diventare un sogno comune: la vita prima di tutto. Abbiamo perso per mancanza di atleti agonisti: non tutti potevano correre sul filo dei 15” nel percorrere cento metri. Eppure nessuno potrà togliere il sorriso di bambini di 6 anni giunti con la lingua fuori, di persone diversamente abili che ce l’hanno messa tutta, di mamme che spingevano la carrozzina con un pargolo o un figlio dilaniato dalla malattia. Di gente dall’aspetto comune che per una sera ha scoperto che fare il bene è anche l’occasione per divertirsi e sentirsi protagonisti di una sfida umana. Ci sono competizioni che è bello vincere, perchè lo sport senza un sano agonismo non avverte lo stimolo di migliorarsi; ma ci sono anche competizioni nelle quali ciò che conta è “esserci”. E’ stato questo il record dello scorso week-end: la corsa è divenuta l’occasione perchè ognuno portasse su una pista d’atletica o dentro la piscina del nuoto la sua storia faticosa o travagliata, spettacolare o infame, complicata o lineare per poterla rimettere in sesto con un gesto d’amore: correre uniti per la speranza.
Perso l’aggancio con il record, è rimasta la bellezza d’averci provato sino all’ultimo secondo, perchè è la vita stessa che chiede di provarci fino all’ultimo istante prima di arrendersi alla morte. C’è chi correndo è caduto e chi ha accelerato, chi recuperava il tempo e chi ne impiegava il doppio, chi incitava e chi taceva, proprio come nella vita. Ma c’era sopratutto quel gemellaggio silenzioso e disarmante che agganciava il Prato alla Città della Speranza. Dentro quei corridoi ci sono “atleti” che quotidianamente s’allenano e corrono per non farsi sconfiggere dalla morte. E la loro corsa – fatta di vagiti di bambini o di angosce di madri – è stata il testimone più bello che ognuno ha raccolto alla fine del suo correre/nuotare: la vita rimarrà sempre l’avventura più bella da giocarsi e l’uomo la scommessa sulla quale puntare.
Un popolo che sfida la notte e il sonno, la stanchezza e l’età, il week-end e la pigrizia per indossare i pantaloncini e gareggiare per la speranza è un popolo che cancella l’onta di una festa (il Botellòn) ch’era urgente coprire il prima possibile con un gesto di umana attenzione. Per assicurare che la precedenza nella vita non va data solo a destra ma ogni qual volta c’è qualcuno che chiede spazio e tempo per rimettersi in piedi.
E tornare a correre per vivere.