Come in cielo, così in terra. Come nello sport, così nella vita. Forse sintetizzerebbero così gli irlandesi la lezione che essi stessi hanno saputo impartirci in queste poche partite del campionato europeo: con quel modo tutto loro – un po’ guascone, al limite del blasfemo – di mischiare il sacro al profano. L’autenticità, prima di tutto e davanti a tutto, come un marchio indelebile sotto pelle, come richiesta tacita e improrogabile.
Nel Bel Paese a imperversare sono le polemiche: alle esternazioni di Cassano e agli strascichi inevitabili del calcio-scommesse, si aggiungono quelle “classiche” sulla formazione, dal momento che si sa da sempre che in Italia la Nazionale ha cinquanta milioni di allenatori, tutti informatissimi e pronti a schiarare il loro undici ideale, tanto quanto sono prontissimi a sfornare critiche a chi è stato effettivamente investito della responsabilità di ricoprire quest’incarico agli occhi della squadra e del mondo.
Il calcio, uno sport bello e infame. Bello perché è il gioco più semplice e immediato del mondo, complice di tante amicizie infantili, che spesso ci accompagnano fino all’età adulta. Infame perché qualcuno sembra mettersi d’impegno per sporcarlo, agli occhi di chi lo guarda con purezza, ingenuità e anche quella riconoscenza che è propria di tutto ciò che ci fa ricordare l’infanzia e la sua spensieratezza, tanto distante dai problemi adulti, come il mutuo, le tasse, l’Imu e lo spread.
Amato da tutti, fino all’odio. Quell’odio sincero e cordiale che nasce nei confronti di chi infanga qualcosa che ci appartiene, fino a renderlo inguardabile. Un fango ben diverso da quello di cui vanno orgogliosi i rugbysti all’uscita dal campo: il fango di cui stiamo parlando è quello della vergogna e dell’ignominia di chi manca di rispetto verso i propri tifosi, il proprio sport e anche quella passione, che almeno inizialmente ha guidato i passi di tutti. Perché non riesco a credere che un piccolo Ronaldo, un piccolo Eduardo, un piccolo Cassano potessero inseguire un pallone pensando ai futuri guadagni! Sarò una purista, ma tutto ciò è lontano anni luce dai pensieri che fa un bambino, mentre gioca e si diverte…anche quando magari, a volte gelosamente e di nascosto, conltiva il sogno gigante di diventare un campione, come quelli che vede alla tele sui campi più belli del mondo!
Nel frattempo, intanto si compie la verde speranza dell’Isola di Smeraldo: l’Irlanda, qualificata per la prima volta nella fase finale, si rivela molto più di una squadra – materasso. Sì, siamo onesti, tecnica e tattica si rivelano in alcuni frangenti manchevoli fino all’imbarazzo: mancano proprio i fondamentali. Ma vedere il capitano Robbie Keane, attaccante, andare a prendersi i palloni a centrocampo pur di combinare qualcosa non fa tenerezza, è molto di più: è lodevole. Vedere undici uomini in campo che giocano fino alla fine, anche quando il risultato che recita “4 – 0” dovrebbe invece spingerli a difendere il difendibile, a chiudersi piuttosto in difesa e a fare di tutto per non subirne altri è qualcosa di stupendo, perché fa tornare alle radici, quelle radici che se scordate di fanno dimenticare la tua identità. Ascoltare cori e incitamenti dai tifosi per 90 minuti, anche quando la situazione è drammaticamente compromessa, vedere uno scroscio d’applausi accompagnare l’uscita di scena della squadra, anche quando i giocatori escono dopo una batosta di 4 reti subite e dominio assoluto degli avversari non è solo commovente, è istruttivo. Per loro, su cui nessuno avrebbe scommesso nulla, il solo esserci è una vittoria. Non hanno aspirazioni di vittoria del titolo finale, ma scendono in campo con la consapevolezza che, al fischio d’inizio, tutte le partite sono uguali, partono sullo 0 – 0. Come finiscono dipendono da come scenderanno in campo, ma in ogni caso, avranno almeno 90 minuti a disposizione. Per vincere o per perdere. Ma la cosa più importante è un’altra ancora: consumare ogni goccia di sudore e ogni energia disponibile, fino al fatidico triplice fischio dell’arbitro; perché, fino a quel momento nessuno, assolutamente nessuno potrà considerare finita la partita, che stia vincendo oppure perdendo.
Con la sua semplice presenza, con il suo stile di gioco, con la sua voglia di farcela e giocarsi fino alla fine ogni partita l’Irlanda ha dato una lezione a tutti, una lezione importantissima, anzi insostituibile, in questo periodo in cui il calcio ha perso smalto e credibilità. Ed in realtà è una lezione molto semplice, fino all’ovvietà.
Primo assioma: il calcio è un gioco. Secondo assioma: il calcio è divertente e fa divertire.
Questo è il principio basilare per il quale lo sport (non solo il calcio) è vita, creatività, divertimento, aggregazione; non solo: responsabilità, passione, sacrificio, lotta, voglia di riscatto. E molto altro ancora.
Purtroppo, il calcio diventa l’emblema di come i soldi possano rovinare tutto. E, purtroppo, tanti sono i soldi che girano, nel mondo del calcio. Facendo girare qualcos’altro a chi, guardando da fuori, vede violentare impunemente quello sport che l’ha visto crescere, tra un campetto di periferia, due tiri a una porta sgangherata e ginocchia sbucciate sul cemento armato. Ecco perché è “santa indignazione”: perché lo sport non è solo sport, è un nastro trasportatore di sogni, di speranze, di traguardi. E vederli infangare fa sempre male. Motivo per il quale si arriva all’odio, un odio vero e sentito, o – forse – risentito, come chi si sente offeso e preso in giro. È reazione comprensibile quando vedi distrutto il mondo in cu eri cresciuto, in cui hai imparato ad essere qualcuno, ad affrontare i problemi, a superare le avversità. Sai di avere un debito di riconoscenza verso tutto questo: ecco perché non ti è possibile rimanere indifferente, di fronte allo scempio che vedi perpetrare.
Ma vedere l’Irlanda all’opera in questo Europeo ridona speranza. No, non è il fascino del perdente che fa simpatia per il semplice fatto che non dà fastidio. No: è molto di più. È la consapevolezza che, nello sport come nella vita, solo se accettiamo la sfida di andare alla sorgente per ritrovare l’autenticità, è possibile ritrovare lo slancio e la passione per ciò che ha costituito tanta parte della nostra vita, e forse la più bella, quella più spensierata. Quella a cui aggrapparsi nei momenti più difficili per sperare che qualcosa di meglio sia sempre possibile.
E ritrovare il tempo per divertirci ed essere felici è quanto di più necessario ci sia; proprio perché c’è la crisi. Perché ogni riscatto parte dalla volontà di riscatto e nulla come lo sport è capace di garantire che niente è da considerarsi deciso prima del tempo stabilito e in quel tempo quasi sacro può veramente accadere di tutto. Anche che la squadra – Cenerentola, suo malgrado, salga in cattedra a tenere una lezione magistrale!
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