Ci sono volti che colpiscono, per motivi diversi: purezza, candore, fascino, compostezza. Eppure, nel mio caso non è stato così: non è stato vederlo a farmi pensare che sarebbe valsa la pena conoscere questo prete originale. Ogni giovane apprezza la trasgressività, in qualunque modo si manifesti. Ed io non feci eccezione. Nello specifico, ciò che ai miei occhi risaltava per il fatto di essere diverso e sopra le righe erano le parole. Nette, decise: come colpi d’accetta, come battiti d’una grancassa. Nel bene o nel male, nella condanna o nella meraviglia, nell’impeto o nella delusione, ogni scritto vibrava d’emozione. Non negava all’umanità di abitare lo spirituale. Alle volte, per il dolore o l’incredulità, diventavano imprecise, per la foga con cui sgorgavano dal cuore, e si sfaldavano, come neve che si scioglie al sole. Ma, in nessun caso, perdevano una caratteristica che le distingueva dalla massa delle altre: l’autenticità. Difficilmente tutti siamo colpiti dai medesimi dettagli. Ma credo che l’autenticità sia qualcosa che arrivi diretta, senza essere filtrata da altre sovrastrutture.
Perché la sua è una faccia da schiaffi, i suoi toni sono pragmaticamente bruschi e la sua mania di perfezione, quando unita alla sua tenace caparbia, rischia di farlo riuscire dispotico e arrogante. Ma dietro quest’impressione c’è molto di più. Ci sono: un entusiasmo incontenibile, una fede gioiosa innestata su radici contadine (legate alla sua terra, alla sua famiglia, alla sua storia personale e collettiva), una scanzonata tenerezza; ma soprattutto possiamo trovare una creatività fantasiosa, condita da una grinta incredibile, contenuta in un cuore generoso.
Conoscere don Marco fa toccare con mano una grande realtà: la chiamata al sacerdozio non chiede di “lasciar perdere” i propri talenti; al contrario, esige che siano impegnati, perché siano fatti fruttare al massimo delle loro potenzialità. Non mancando di radicalità, ogni chiamata resta personalissima. Motivo per il quale l’uomo è chiamato a corrisponderle in modo altrettanto integrale, ma tenendo conto dell’uomo. Cioè di come è in se stesso, coi suoi doni e le sue mancanze, i suoi punti di forza e quelli di debolezza. Tante chiamate per ogni uomo, spesso successive e talvolta tra loro tanto diverse da sembrare a primo impatto inconciliabili; invece, tante volte, si rivelano solo come le scatole cinesi, si compenetrano l’una dentro l’altra senza escludersi. Una sola è la chiamata unica e universale, come ci ricordava Benedetto XVI nel suo incontro a Milano coi cresimandi: quella alla santità, espressione credibile dell’audace fiducia che Dio ripone nell’uomo, in ogni uomo (nessuno escluso!).
Un Don che raccoglie i giovani dello spritz? che strano! Un Don che scrive il blog? Possibile?! Un Don che corre, in bici o a piedi, con tempi d’atleta? Ma sarà vero?
È bizzarro che susciti scalpore un prete che predica Cristo nelle piazze gremite di giovani, quando Cristo predicava per le strade della Palestina. Non meno insolito valutare stranezza (e mostrarsi estraniati!) nel vedere un prete sportivo: Cristo non camminava forse senza sosta per l’intera Galilea? Sì, forse a qualcuno darà scandalo, parrà inopportuno o generatore di confusione tutto ciò; eppure è perfettamente in linea con lo stile di un vagabondo irrequieto, come il Risorto: tanto in moto perpetuo da “non sapere dove posare il capo” (Mt 8,20).
Per costruire un palazzo, ci vogliono molte pietre. E più varie sono la forma e il colore, maggiormente espressivo ed esteticamente interessante sarà il risultato della costruzione finale.
Nel nome del Padre, intorno alla pietra angolare, che è Cristo, nella fantasia dello Spirito Santo, c’è spazio per tutti, nella Chiesa. Perché i capolavori sono fatti di tanti pezzi: piccoli e grandi, più o meno lucenti e colorati. Ma tutti insostituibili per ottenere l’opera finale. E non è possibile ritirarsi, fare un passo indietro: perché nessuno potrà prendere il posto lasciato vacante o sostituire quel contributo di umanità, fede, speranza, gioia che era richiesto a quella persona. Mentre l’onestà di uno potrà aumentare lo splendore complessivo, che avrebbe invece rischiato di rimanere offuscato dalle leggerezze di qualcun altro. Questa complementarietà reciproca è sperimentabile ogni giorno, nel precario equilibrio della nostra vita. Nella consapevolezza d’attingere all’originario modello (e fonte) di santità, Cristo, partecipando dell’amore trinitario che permea il mondo, possiamo collaborare nel migliorarlo, iniettando in esso fiducia nelle proprie capacità e coraggio di attuare scelte controcorrente.
In questo periodo, poi, di risentimento generalizzato (e non sempre oggettivamente giustificato dalla verità dei fatti) nei confronti della Chiesa, conoscere un prete come don Marco acquista un sapore particolare, alimentando la speranza. Perché? Perché nei suoi occhi è possibile leggere non solo il desiderio, ma anche l’impegno di rinnovare, quotidianamente e nella concretezza, con ogni fibra del suo essere, la scelta di essere prete all’altezza dei Suoi sogni!
Spero di interpretare il sentimento di tanti, nel ringraziarti per tutto questo.
Buon Anniversario, don Marco!