Pianteranno la loro tenda a metà strada tra la terra e il cielo; per rimanere fedeli a Dio senza dimenticare le grida dell’uomo. E viceversa: per rimanere fedeli all’uomo senza tradire le direttive che giungono precise dal Cielo. In cattedrale oggi pomeriggio nove ragazzi – Claudio, Vito, Francesco, Giuliano, Luca, Daniele, Erik, Paolo e Diego – saranno consacrati sacerdoti: sulle loro spalle fragili e inesperte, Dio poggerà l’eterna scommessa di continuare a scrivere assieme all’uomo la storia dell’umanità. I loro volti raccontano la giovinezza perchè il loro Dio è davvero un Dio che crede nella forza giovane: basta aprire la Scrittura e chiedere del suonatore di cetra di nome Davide o di quel giovane sognatore di nome Geremia, del condottiero Giosuè o del piccolo Tobia invitato da un angelo a sposare la sua donna. Di Samuele o di quella splendida bellezza nazarena di nome Maria, donna tremendamente capace di Cielo. Gente dall’anagrafe giovane alla quale Dio non ha concesso il minimo tempo di addestramento ma li ha gettati subito nella mischia a farsi le ossa, scortati e sorretti dalla sua presenza. I primi sacerdoti se li è scelti lui, dodici a rappresentanza dell’umano: tra di loro anche Giuda, il primo dei cattivi preti. Eppure nei loro sguardi viaggiava la presenza inedita di un Dio che mai si scoraggerà per i limiti di chi ha scelto ma ritenterà ogni volta di riannodare i fili.
Piacerebbe far trovare loro lunedì mattina – quando gli applausi del dì di festa si saranno affievoliti – una Chiesa e un presbiterio che li facciano sentire amati e incoraggiati, forse anche attesi per sentire una squadra che si rinforza. Troveranno, invece, le fatiche della manovalanza e il silenzio della solitudine, lo screzio tra confratelli e la gelosia di chi, non più giovane, della loro anagrafe proverà inspiegabile spaesamento. Sperimenteranno la lontananza tra la Chiesa studiata sui libri e quella che abita nelle periferie, tra gli ideali di santità delle meditazioni spirituali e le grida angosciate che salgono dal ventre della città, tra l’obbedienza promessa ai loro superiori e il bisogno di una fedeltà alla propria coscienza di uomini. Abiteranno le chiese e le associazioni, i confessionali e gli oratori, gli spazi pubblici e quelli privati e lo faranno con quel sorriso poco ingenuo di chi sa in anticipo che un applauso quaggiù è un brutto auspicio lassù, perchè quasi sempre piacere agli uomini è dispiacere a Dio. Li attendono al varco per vagliarne la loro fedeltà, ma poco importerà se solo sapranno che c’è un Dio che a loro ha dato fiducia, credito e illimitata presenza.
Se vorranno una vita tranquilla basterà poco più di nulla; ma forse non gioverà per riavvicinare a Lui quel popolo che ha abbandonato le chiese e i sagrati, le associazioni e le adunanze, gli incensi e le processioni ma sta cercando magari a tentoni il volto di quel Dio del quale provano urgente nostalgia. Sul ciglio dei loro abissi troveranno solo Dio a consolarli, tutto il resto sarà deserto. Perchè solo Dio, da buon allenatore, sa parlare ai fuoriclasse genetici. E in una squadra mai livellerà le differenze (come troppo spesso si tenta e si riesce nella Chiesa), bensì le accentuerà fino a farle esplodere per il bene della collettività. Al loro Vescovo hanno promesso castità, povertà e obbedienza. Con la speranza che qualcuno racconti loro che castità non è mai castrazione, povertà non è sinonimo di miseria e obbedienza non è affatto servilismo. Perchè un Dio che umiliasse l’umano è un Dio che non meriterebbe affatto d’essere ascoltato.
In bocca al lupo, ragazzi. O in culo alla balena. O più evangelicamente: Dio vi benedica. Tanto non cambia assolutamente nulla: da domani si balla coi lupi. E ci sarà pure da divertirsi.