Abitano sulla soglia del mondo per proteggere la vita. E’ dal giorno in cui Dio ha messo nelle loro mani il brevetto della maternità che le contempliamo sempre all’opera, infaticabili operaie di quella speranza che regge il mondo: davanti ad una lavatrice o dentro un ufficio, nelle sale d’attesa dell’ospedale o in fronte alle sbarre di un carcere, con le mani sporche di farina o le scarpe inzuppate di fango. Col sorriso o con lievi segni di scoraggiamento, della disperazione sono acerrime nemiche, perchè dentro lo sguardo di ogni mamma campeggia quella forza disumana che le rende capaci di gesti eroici. Forse perchè, all’alba della loro storia, c’è un frammento di quella bellezza tutta palestinese di una donna, Maria di Nazareth, che di tutte loro è la patrona e l’organizzatrice dei loro sogni.
Questa domenica è la festa della mamma, di quella donna silenziosa e discreta che s’alza per prima la mattina e rincasa per ultima la sera, capace di leggere gli sguardi e interpretare i silenzi, di dare voce ad un battito e di incoraggiare i suoi uomini a sperare. Presenze femminili a cui riesce talvolta l’ardua sfida di saper unire il quotidiano e l’eterno, la farina dei dolci e il sale delle pietanze, le lacrime di gioia e quelle di compassione. A volte ti lasciano l’impressione di scomparire, sembrano inabissarsi chissà dove, e poi le vedi riemergere altrove come fiumi carsici che improvvisamente scompaiono e altrettanto improvvisamente sgorgano lontano. Quando si tolgono è per discrezione, quando s’avvicinano è per amore, quando s’arrestano è per pudore: quando scappano sentono la maternità scolorarsi e decidono di tornare, quasi sempre per reggere una croce. E’ questa forza misteriosa – che stizzisce uomini e dittatori – ad albergare dentro quel piccolo corpo di donna che ha fatto sì che pure Dio scegliesse loro per metterle come “segnali stradali” ai grandi incroci dell’esistenza, laddove vita e morte, bellezza e malvagità, stupore e rassegnazione ogni giorno si trovano a lottare gomito a gomito.
I grandi costruttori di cattedrali nel Medioevo avevano inserito segni e simboli della gravidanza nelle loro architetture sapienti. Il celebre labirinto di Chartres si compone di 270 passaggi tracciati sul pavimento della cattedrale, ricalcando esattamente il numero dei giorni di gravidanza di una donna. Perchè dentro ogni labirinto oscuro c’è nostalgia della luce, proprio come nel ventre di una donna. I trucchi non le rendono più belle, semplicemente ne complicano il fascino: perchè una mamma è bella con le sue rughe addosso che parlano di sogni e pensieri, con gli zigomi stanchi che raccontano le ferite di una vita, con i calli alle mani perchè certe carezze erano pesanti da regalare. Le mamme sono disarmanti perchè mamme, donne capaci di abitare la ferialità senza smarrire lo stupore di vestirsi a festa, di camminare per casa con l’eleganza di una silhouette o di sbizzarrirsi ai fornelli con la maestria di uno chef.
A settant’anni tu le guardi e ti sembrano ancora più belle, così belle da voler rubare loro un po’ di quello splendore e porgerlo negli sguardi di troppe ragazze spente, inasprite di cipria e golose di maquillage che le rendano odiosamente perfette. Peccato per Archimede e quel punto d’appoggio per sorreggere il mondo che a lungo ha cercato nella sua vita di scienziato. Perchè nessuna cosa al mondo ha la forza di sorreggere le sorti dell’umanità come il grembo di una donna. Là dentro – tra miscugli di cielo e profumi di attese – nasce ancor oggi il capolavoro più bello. Anticipato da vagiti di festa che sono rimasti tutt’ora la melodia più bella per ringraziare chi, all’alba della nostra vita, ha scelto una donna per darci il benvenuto su questo splendido palcoscenico della storia.