M’hanno sempre rinfacciato d’essere ambizioso. Così, non certo per darla a vedere, mi sono messo in testa di diventare santo. Come Filippo s’è messo in testa di diventare un calciatore, Tommaso un professore universitario, Valentina una imprenditrice di successo, Sara una showgirl, Alessandro un piccolo banditello di quartiere. Certo che poi ho fatto due conti e mi sono un po’ demoralizzato perché chiedono troppe condizioni per poter accedere in questa casta così ambita. Me le sono segnate, così tanto per valutare a freddo e vedere se conviene veramente aspirare a questa carriera. Oppure optare per un’altra magari meno ambiziosa ma più semplice da raggiungere.
Le condizioni non ammettono sconti (anche se poi la storia della Chiesa ci racconta che quando la norma è chiara le eccezioni si possono fare, ndr). Comunque sia per chi nasce senza camicia e padrini le regole sono chiarissime: occorrono cinque anni dalla morte (perché le emozioni non giochino scherzi), tra la gente dev’essere chiara la fama di santità e l’intercessione presso il Signore. Poi si muovono i pezzi da novanta: il vescovo, con il nulla Osta della Santa sede, istituisce un tribunale di fronte al quale sfilano i testimoni. E qui uno diventa servo/a di Dio. Se compi un miracolo, la strada è spianata. Poi tutto passa alla Congregazione delle Cause dei Santi. Il Postulatore segue il lavoro di sintesi che ne prova l’eroicità delle virtù e che sarà sottoposta al vaglio di nove teologi. Se la maggioranza di loro sarà favorevole, si passerà al vaglio di Cardinale e Vescovi. Se fila tutto liscio, il Prefetto della Congregazione espone il lavoro al Santo Padre che concede la sua approvazione. E qui uno diventa beato/a. Per la santità, aspetta! Occorre un altro miracolo avvenuto dopo la beatificazione.
A me è sorta una domanda, visto che è da quando sono nato che mi piace correre: se ci fosse un’urgenza come la mettiamo?
L’ingiustizia di un calendario buonista.
Ho sfogliato il calendario zeppo di santi. Ma non c’è posto per lui. C’è un posto, c’è una festa, c’è un ricordo per tutti coloro che erano presenti quel giorno sul Calvario. Per la Madonna, naturalmente. Per Giovanni, per Maria Maddalena. C’è posto persino per gli assenti. Per il primo Papa, scappato chissà dove dopo che il canto del gallo l’ha disteso a terra. C’è posto per tutti gli altri apostoli tappati come talpe nelle tane della loro paura. Ma per lui, il Buon Ladrone, primo santo cristiano, non c’è posto nel calendario. Non viene nemmeno presentato dagli evangelisti. Così non conosciamo il nome e a nessun bambino, al momento del battesimo, può essere imposto quel nome. Oggi sarebbe la sua festa. T’immagini. Scorri sul calendario con il dito, ti fermi al Venerdì Prima di Pasqua e, sotto il numero del giorno, sta scritto: “Santo Buon Ladrone”. Proprio come Santa Rita da Cascia, San Giovanni Battista de la Salle, San Leone, San Giovanni Maria Vianney, San Giuseppe, Santa Felicita. T’immagini il disagio? Santo Buon Ladrone. Accetterebbero i “buoni parrocchiani” come modello un tipo così poco raccomandabile, entrato a far parte dei “nostri” negli ultimi cinque minuti della sua esistenza burrascosa?
Insomma, un personaggio un po’ scomodo, non troppo raccomandabile, neppure dopo la morte. Quindi: niente festa! Intendiamoci bene: non è che a lui importi granché di questo sgarbo liturgico. Nel suo curriculum vanta pur sempre d’esser stato l’unico santo canonizzato direttamente da Cristo: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel Paradiso” (cfr Lc 23). Maria Valtorta, registrando le sue visioni, scrive: “Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Dice: Io te lo dico: oggi tu sarai con me in Paradiso”. Immagina quel vecchio malfattore. Assuefatto ai tempi lunghi dell’attesa: cinque anni al remo, dieci anni di lavoro in miniera. Invece basta con i tempi lunghi. Gesù non si contenta di cancellare con un colpo di spugna tutte le macchie di quest’uomo brigantello. Gli preme confidargli che entrerà subito nel Paradiso. Poco prima Gesù aveva detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Costui, invece, lo si può assolvere più facilmente: sa quello che fa. Ciò gli basta. E, probabilmente, gli avanza. Bella compagnia quella di Cristo nelle ultime ore. Lui che, nelle mille peripezie sulle strade della Galilea non s’è mai imbattuto nei briganti, in poche ore ha a che fare con tre facce di quella stirpe. Prima Barabba, il bandito che ha preso il suo posto nella libertà. E, sulla croce, con due malfattori.
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: «Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato». Allora cominceranno a dire ai monti: «Cadete su di noi!»,e alle colline: «Copriteci!». Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?». Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». (Dal Vangelo di Luca cap. 23)
Lo chiamano il “Buon Ladrone” (“come sono prevedibili i cristiani”) ma lui non ha rubato nulla. Se Gesù l’ha scaraventato nel Paradiso senza aprire il processo diocesano di beatificazione, significa che era fatto per il Paradiso. La sua nascita, la sua vita, i suoi brigantaggi dovevano portarlo là. Oltre Maria di Nazareth, più in là della Veronica, superato Simone di Cirene. Doveva essere il compagno di Cristo nel momento finale. Fianco a fianco con Cristo perché è l’unico convinto di morire vicino ad un re. Anche se non sa leggere, quel cartello beffardo che hanno inchiodato in cima alla croce – “Gesù Nazareno Re dei Giudei – è una vera insegna regale. Forse immagina questo regno come un grande giardino con torri, vini profumati e fontane. Un paradiso di scrigni, di strade dove lui volentieri dormirebbe, dorate di tiepido sole e senza inverno la notte. Ma una domanda lo lacera: quando sarà arrivato lassù, il Re si ricorderà di lui? L’altro ladrone bestemmia come quelli sotto. E’ una bestemmia furibonda (“Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi”). Una bestemmia che fa ritrovare la violenza all’altro ladrone che, in croce, dedica al vecchio complice la sua ultima aggressione: “Neppure tu temi Dio, tu che ti trovi a subire lo stesso supplizio?”. Riconosce che quel crocifisso in mezzo a loro è Cristo. Ma non chiede il miracolo, non avverte nessun miracolo per essere salvato. E’ disinteressato questa volta. Lui, vissuto mangiando pane, cupidigia e rapina. Lui vuole solo un cantuccio nella memoria di Cristo: “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Se avesse un tasca un ritrattino, un biglietto da visita glielo infilerebbe tra i chiodi, come fanno le persone semplici lungo il sentiero di un viaggio.
Un gesto incredibile: in pochi minuti trasforma la sciagura di un’esistenza. Una vita intera giocata in pochi secondi. Troppo comodo? Eppure il Buon Ladrone ha riempito quel pochissimo tempo di cose grandissime. E il calendario di Dio non concorda col nostro. Probabilmente Cristo s’è commosso: perché sulla croce ha ricevuto una splendida adorazione non dal primo Papa, non dai primi vescovi, ma da un brigante incallito. Questo ladrone è un profeta: afferma la regalità di Cristo nel momento dell’abominio, della sconfitta, della derisione dei notabili che stanno sotto la croce. Prima di giudicarlo indegno, dovremmo conoscerlo! Ha confessato le proprie colpe. Ha proclamato innocente Gesù. Ha zittito il compagno burbanzoso. Riconosce Gesù come un re (non durante un miracolo, ma nell’umiliazione e nell’abbandono). Riconosce nella morte l’ingresso per l’Eterno. Merita di accompagnare Cristo nel suo ingresso in Paradiso. Proprio lui. Il fuorilegge, l’escluso (anche dal calendario liturgico).
“Signore, ricordati di me, quando sarai entrato nel tuo regno”. Un solo moto di puro amore, e un’intera vita criminale è cancellata. Miseria! D’un sol colpo non solo è assolto, ma innalzato alla gloria dell’altare! In un solo istante, su quel disgustoso cadavere, la Grazia ha approfittato di tutte le deficienze della virtù. Su quella forca infame non c’è più uno scellerato che espia le sue colpe, ma un martire che come un’ostia consacrata brilla per impreziosire quella croce. L’assassino, l’impudico, il ladro, il forzato, il bandito professionale è diventato un santo. Guarda: è bastato uno sguardo tra le sue palpebre sanguinanti per scatenate nell’invitato di destra quel cataclisma penitenziale, quella risurrezione mista all’agonia, quell’irresistibile esplosione d’Eternità. Guardalo: è l’unico che ancora crede di morire al fianco di un re. L’altro ladrone bestemmia come quelli sotto. “Neppure tu temi Dio” – gli urla con l’ultimo filo di voce l’altro compagno d’avventure. Stasera il brigante diventa poeta: non chiede il miracolo, non vede nessun diritto ad essere salvato. “Oggi – gli risponde Gesù – sarai con me in Paradiso”. “Oggi”: ma lo capisci? Quel malfattore incallito è avvezzo ai tempi lunghi dell’attesa: cinque anni al remo, dieci anni di lavoro nelle miniere, trent’anni di gulag. Basta con i tempi lunghi! Gesù non s’accontenta di cancellare con la sua spugna tutte le macchie di quest’uomo. Gl’interessa confidargli che entrerà subito in quel giardino senza sbirri, dove si dorme in tiepide strade. “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ma questo si può assolvere più facilmente: sa quello che fa.
Buon ladrone, santo operaio dell’ultima ora, inebriaci di speranza.
Certe volte un incontro ti cambia la vita. Era capitata la stessa cosa a un gruppo di persone, nemmeno tutte troppo giovani, alcuni erano anche padri di famiglia. Passa Gesù che li aveva notati tante volte immersi nei loro lavori, nei loro pensieri, abbarbicati alla loro terra, o meglio al loro lago e alle loro abitudini, li guarda e li chiama. Li toglie dal torpore, li lancia su un futuro diverso: Andrea non stare a raschiare questo lago con le tue reti tutta la vita, vuoi buttarti nella avventura del Regno di Dio? Garda che non sarà una vita facile, ma io ti sosterrò. Ti interessa? Andarono e videro dove abitava, dice il vangelo di lui e di Giovanni. La gioia dell’intimità con Gesù scatena un tam tam che non si ferma più. Andrea lo dice a Pietro, lo viene a sapere Natanaele la voce corre per tutta la Palestina e correrà per tutto il mondo senza mai fermarsi. Da allora molti uomini e donne hanno sentito questo invito testimoniato e lo hanno seguito.
Il ladrone è sveglio. Sveglio è il contrario di addormentato evidentemente, ma anche l’opposto di rassegnato, di persona che non si attiva per niente: sicuro nel suo posto, protetto, esecutore senza fantasia, adattato. Quel lavoratore che nessuno più vorrebbe in nessun posto. Perché? Perché non è un vero uomo, ma un automa, un pacco postale su cui sta scritta la destinazione, collocato su un nastro trasportatore; crede che la vita abbia un destino inesorabile e lui si adatta. Non riesce più a trarre da sé nessuno slancio, nessun guizzo, nessuna prospettiva. Ha perso la caratteristica più bella della sua umanità: la gioia di vivere. Ecco, questa persona che nessuno vorrebbe in una squadra o nella propria compagnia o nella propria scuola dovrebbe star bene nella vita cristiana? Sì, perché la vita di fede ormai è diventata una routine senza sorprese, senza prospettive, del tutto insignificante per la vita. Una messa ogni tanto, dove non succede niente di nuovo; un matrimonio cui devi partecipare per far piacere agli amici; purtroppo anche un funerale, che si spera non tocchi proprio i tuoi direttamente; una qualche bella festa, ma la vita è tutta un’altra.
Un solo moto di puro amore, e un’intera vita criminale è cancellata. Miseria! D’un sol colpo non solo è assolto, ma innalzato alla gloria dell’altare! In un solo istante, su quel disgustoso cadavere, la Grazia ha approfittato di tutte le deficienze della virtù. Su quella forca infame non c’è più uno scellerato che espia le sue colpe, ma un martire che come un’ostia consacrata brilla per impreziosire quella croce. L’assassino, l’impudico, il ladro, il forzato, il bandito professionale è diventato un santo. Guarda: è bastato uno sguardo tra le sue palpebre sanguinanti per scatenate nell’invitato di destra quel cataclisma penitenziale, quella risurrezione mista all’agonia, quell’irresistibile esplosione d’Eternità. Guardalo: è l’unico che ancora crede di morire al fianco di un re.
E’ giusto che abbia un nome.
E’ difficile chiamare qualcuno che si ama senza chiamarlo per nome: gli evangelisti tacciono sull’anagrafe di questo ladrone. La tradizione latina l’ha chiamato con il termine latro che significa “ladro in agguato sulle strade, brigante”. I cristiani d’Oriente gli hanno dato il nome di Disma che significa “malfattore, cattivo, ladro”. Ma in greco la radice dysmè evoca il tramonto del sole, il tramonto degli astri, il declino della vita. Sono gli estremi della vita di questo primo santo del cristianesimo. Egli ha commesso una colpa grave, è condannato e subisce la pena riservata ai briganti: in questo senso il nome di malfattore gli s’addice. Ma al tramonto della sua vita, quest’uomo incontra il sole, la luce che è Cristo: “oggi sarai con me nel Paradiso”, “prima del tramonto del sole, tu sarai con me nel mio regno”. Disma (il tramonto del sole, il declino di una vita, ndr) ci fa comprendere una grandiosa speranza donata ad ogni uomo. Il momento in cui Disma sparisce agli occhi del mondo, il momento in cui la sua vita sembra finita, è invece per lui l’apoteosi della luce, il giorno senza fine, il trionfo: Disma entra con Cristo nel regno di Dio, nell’Eternità.
E’ giusto che abbia un nome. Solo il giovane ricco del Vangelo – ricordate ragazzi? – è rimasto senza nome; perché senza sogni. Questo ladrone, invece, i sogni ce li ha, è il sogno più tenero che uomo mai conosca: sapere di avere un cantuccio nella memoria del Re.
La farfalla deve far fatica
Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore si sforzava per uscire da quel piccolo buco. Dopo molto tempo sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro. Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! La farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare.
A Tempera, borgo abruzzese semi-distrutto dal terremoto di due anni fa, vive Maria d’Antuono, 98 primavere sistemate sulle spalle e una vita di obbligate ri-partenze. In quei giorni rimase prigioniera 30 ore sotto le macerie prima che un angelo, vestito da pompiere, intercettasse il suo respiro e la liberasse. Sotto le macerie ha vinto l’attesa lavorando con l’uncinetto: cioè non spegnendo dentro l’animo la speranza di tornare a vivere, di tenersi sveglia e attenta. Invitata dai soccorritori ad uscire da quell’inferno, ha chiesto solo una gentilezza: “Almeno fatemi pettinare”. E’ un’immagine meravigliosa della Pasqua: sotto i calcinacci di un terremoto, dentro il dramma più oscuro, nel fondo dell’inferno della natura c’è ancora la possibilità di sognare giorni migliori. Saputo che doveva tornare tra la gente, ha chiesto di pettinarsi. Cioè d’essere bella, dignitosa, composta. Questa è la vera Pasqua: passare sotto le macerie del Venerdì Santo, attendere silenziosi tutto il Sabato Santo e uscire da quei sepolcri “pettinati”, vestiti di quella bellezza che tanto invade l’animo di tutti i personaggi che oggi nel Vangelo corrono commossi, stupiti, entusiasti. E’ una corsa contro il tempo: occorre annunciare a tutti che la Morte è stata vinta per sempre. Che l’Uomo appeso alla Croce ha vinto la partita della storia.
E dopo aver vinto ha festeggiato nel modo più inaspettato: varcando il Cielo a braccetto con un ladrone. Ops, scusate: col primo santo della storia cristiana. Quella che ancor oggi è tacciata d’essere la storia più ambiziosa di tutta la terra.