Non era un arrivo di tappa del Giro d’Italia e nemmeno erano in palio pass per poter accedere alle olimpiadi. Era una semplice gara di ciclismo (svoltasi in provincia di Padova) della categoria juniores, età nella quale lo sport deve rimanere divertimento, prima di tutto, per non correre poi il rischio di trasformarsi in un’ossessione. Eppure un finale di gara impostato male, una sbandata (pilotata o meno) che provoca una caduta, una zuffa tra corridori finisce per sfociare in una rissa nella quale sono coinvolti persino i genitori. Che, bando alle ciance, han usato le mani tra di loro per sistemare un ordine d’arrivo a loro dire condizionato dalle scorrettezze. Gesti di domenicale passione sportiva.
Un episodio sempre più frequente nelle domeniche assatanate di sport: ai bordi dei campi da calcio, sul ciglio delle strade, nei pressi di un impianto sportivo sempre più il tifo “organizzato” dei genitori diventa una forma di pressione nella testa dei piccoli atleti che ruba loro la regola numero uno di chi pratica sport a quell’età: concedersi il lusso di divertirsi. Perché lo sport è prima di tutto divertimento: distrazione della mente, possibilità di un sano protagonismo, voglia di far emergere un talento, passione e costanza nel dare voce ad un sogno. Quando manca il divertimento, lo sport diventa una forma di masochismo inutile e dannoso, sopratutto nell’età dell’adolescenza. Fortunati quegli atleti che troveranno sul loro percorso sportivo allenatori/genitori degni di tale sfida: mettere i ragazzi nudi di fronte a loro stessi per poi spingerli al massimo delle loro potenzialità. Insegnare non tanto la strada per la vittoria ma la declinazione della vittoria: passione, applicazione, metodo, fantasia, caparbietà, sogno, costanza, emozione. Ma in tutto ciò devono prima di tutto divertirsi: provare il gusto dei passi sulla polvere, emozionarsi nell’organizzare un assist al compagno di squadra, sentirsi liberi nell’immaginare una strategia di vittoria. Agli atleti bisogna però saperci parlare, sopratutto se sono dei fuoriclasse genetici: si necessita di un po’ di mordente attorno alla grammatica. Chi non è capace pagherà dazio. Si può allenare anche senza schemi in testa perché non è questione di pressing o di strategia, ma è l’approccio a fare la differenza, il carattere, il modo di fare. Il troppo stress che s’annida ai bordi delle competizioni – e che spesso sfocia in battute di boxe improvvisate – tante volte impedisce allo sport d’essere una forma di educazione ancora capace di forgiare l’animo e il carattere di quelle migliaia di bambini e di piccoli atleti che lo praticano come hobby e passatempo. L’importante è divertirsi, dove il divertimento non è sinonimo di distrazione o di improvvisazione ma è il termine bello per definire quella fiamma di passione che una mattina s’imprigiona della tua anima e ti fa capire che senza quel pallone, senza quella bicicletta o senza quella scherma la tua vita non sarebbe poi così bella.
Nello sport l’importante è partecipare, s’azzardò a dire un giorno quel barone di De Coubertin. Chissà se oggi si correggerebbe dicendo che l’importante è divertirsi. Sarebbe molto più logico e sportivamente corretto: genitoriultràs permettendo.