L’amore s’accende negli occhi, colpito dalla Bellezza e solo dopo, in un secondo momento, raggiunge il cuore. Questa press’a poco la teoria dell’innamoramento, secondo gli stilnovisti.
Gli occhi come porta del cuore, accesso alle profondità dell’essere, all’animo umano e – quindi – ai suoi sentimenti più nobili. Del resto, se si esclude la prima età infantile, nella quale i principali canali conoscitivi sono i sensi del gusto e del tatto, il primo organo a contatto con il mondo esterno (e che ci mette in relazione con esso) è proprio l’occhio. A maggior ragione, in una società dell’immagine, in cui il senso della vista è letteralmente bombardato di sollecitazioni durante l’intera giornata, questa nostra parte del corpo richiama l’attenzione su di sé, sulla propria utilità, ma – anche – sulla necessità di un utilizzo ponderato e responsabile. Lo so che detto così sembra che io stia parlando di un corpo contundente o di un’arma impropria, ma il nostro corpo è una macchina spettacolare di cui però non sempre abbiamo piena consapevolezza.
Gli esperti assicurano che ci sono anche differenze tra maschi e femmine, nel guardare, che rispecchiano quelle dei processi mentali. Mentre le donne si soffermano sui dettagli (e affrontano i problemi, sviscerando tutte le possibilità esistenti per la risoluzione), gli uomini hanno uno sguardo d’insieme (sia in senso letterale, sia per quello che riguarda la risoluzione dei problemi e la strutturazione del pensiero).
Gli occhi non riposano mai, dal mattino quando li apriamo alla sera quando li apriamo, si posano poco e percorrono, avidi, l’intera realtà che viviamo ogni giorno. Scorrono una rivista, un titolo di giornale, intravedono una pubblicità, osservano la strada, il percorso di ogni giorno. Forse, però, troppo poco si soffermano sull’interlocutore al quale parliamo, sui figli ai quali ci rivolgiamo, sulle persone con cui entriamo in contatto durante la nostra vita.
Dagli occhi passa molto della nostra vita, eppure non sempre ne siamo consapevoli abbastanza da lasciarci “toccare”. Ma uno sguardo può toccarci o anche ferirci. E lo stesso quando ne siamo protagonisti.
Lo sguardo sull’altro ci parla di noi. Come guardiamo gli altri ci dice qualcosa anche su noi stessi, sulla nostra capacità di rapportarci all’altro, nella responsabilità e consapevolezza dell’unicità propria che incontra quella altrui; ma ci parla anche del nostro rapporto con noi stessi. Spesso, infatti, quando siamo nervosi o arrabbiati, corriamo il rischio di vedere le cose diversamente da come sono: ci sentiamo mancare di rispetto, anche se riceviamo una semplice domanda, ci sentiamo guardati storti, anche se in realtà lo sconosciuto seduto sull’autobus sta solamente pensando ai fatti suoi… Com’è dunque il nostro sguardo? Assomiglia a quello di Dio oppure no? Ci aiuta ad essere pienamente uomini, a sentirci fratelli, membri di un’unica famiglia? Il nostro sguardo è capace di far sentire pienamente realizzata l’umanità dell’altro? È capace di costruire, alimentare la pienezza dell’essere uomini, nella sua forma più elevata?
Ci viene incontro anche la Scrittura: “L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”( 1Sam 16, 7). Ecco perché bisogna imparare a ri–creare lo sguardo primigenio e creatore di Dio: perché è capace di fare verità sul nostro essere, non lasciandosi influenzare dalle evidenze più esteriori. Ecco anche ritornare il nesso tra occhi e cuore: è curioso osservare come organi fisiologicamente distanti e sostanzialmente non in comunicazione tra loro, hanno acquisito, nella storia umana, un significato simbolico che li ha messi così strettamente in relazione tra loro, da essere diventati un binomio pressoché inscindibile!
Ecco allora che risulta chiaro perché è necessario coltivare la purezza dello sguardo: se la bellezza passa dagli occhi, è tramite essi che impariamo a coltivarla anche nel cuore.
Qual è lo sguardo che riservo a ciò che non è immediatamente bello, che non attira il nostro sguardo, anzi lo fa istintivamente distogliere, quasi con ribrezzo? La malattia, il dolore, la tristezza: sono tutte sensazioni sgradevoli che vorremmo evitare e dalle quali volentieri allontaniamo volentieri i nostri occhi. Guarda caso, queste sono le stesse parole che il profeta Isaia usa per parlare del servo di JHWH (Is 53, 2 – 3): credo che questo dovrebbe bastare a farci riflettere sulla necessità di andare oltre. Oltre la prima impressione; oltre il primo sguardo, la prima occhiata, la prima sensazione. Per lasciarci stupire dalla vita e da ciò che ci può riservare di straordinario, perfino dietro le apparenze più insospettabili. È questo il motivo per cui non ci può essere un cuore puro se non è puro il nostro sguardo.
“Ama tutto ciò su cui si posa il tuo sguardo” si sente dire san Francesco, in un recente film (Francesco, 2001, edito da Michele Soavi). Probabilmente, tutto ciò non rientra nella letteratura francescana canonica, ma è anche vero che la famosa benedizione di san Francesco recita:
Il Signore ti benedica
e ti custodisca.
Mostri a te la Sua faccia
e abbia di te Misericordia.
Volga a te il Suo sguardo
e ti dia Pace.
Il Signore ti Benedica.
Considerato tutto ciò, ritengo che la frase-chiave di quel film francescano, anche se non fosse presente nella bibliografia considerata ufficiale, certamente ne rispecchia pienamente lo spirito e la spiritualità.
Amare con gli occhi, per amare con il cuore: è il primo passo di un amore concreto e vitale. Perché la carezza di uno sguardo è, spesso, il primo gesto di affetto che ci avvicina e ci fa sentire pienamente uomini.