Gigi Buffon merita ancora la fascia di capitano: la merita sopratutto dopo la partita Milan – Juventus di domenica scorsa. Perchè se la nazionale di calcio rappresenta l’Italia e il capitano è il leader di una squadra, allora non avremmo potuto chiedere alla buona sorte capitano migliore e più rappresentativo di Buffon a tenere alta la nostra bandiera. In fin dei conti cos’avrà detto poi di così amorale il portierone azzurro? L’ha pure ribadito al ritiro azzurro da quanto ne è convinto: “sono contento di come sono, sono ancora più orgoglioso di essere fatto in questa maniera, sono molto più leale di tanti retorici che si accaniscono dietro a determinate frasi”. Orgogliosi d’essere riusciti a negare la verità fino a farci credere che non esista più una verità oggettiva ma ognuno abbia il diritto di crearsi una verità a suo uso e consumo: “non c’è stato goal, questa è la mia verità”. D’altronde Gigi è capitano dell’Italia, ricordiamocelo. Dell’Italia che ha bandito da anni il principio dell’onestà intellettuale fino a farci credere che il futuro appartiene alla gente ch’è in grado di manipolare la verità.
Che sia stato il calcio a mostrarcelo in mondovisione è solo un’occasione della quale rendere grazie e laudi mattutine al Padreterno che, pure Lui, ha messo da parte i pulpiti e le omelie e ha iniziato a parlare al cuore e alla pancia della gente col loro linguaggio: quello del calcio per l’appunto. Perchè in uno stato in cui l’affiliazione sportiva ha preso il posto dell’appartenenza religiosa di un tempo, i sermoni di San Romualdo Abate e San Giovanni Nepomuceno – non ce ne voglia San Paterniano di Fano o il suo collega Sant’Alberto degli Abati se non li citiamo – non sono poi così evocativi come le gesta di Gigi Buffon o del giovane Alessandro Matri. Ragione per cui pure il buon Dio s’è deciso di usare la filiazione sportiva per mostrare come la zizzania cresca fertile e feconda assieme al buon grano. I grandi moralizzatori hanno dato contro al nostro portiere. A guardarli sono gli stessi che magari frequentano i luoghi sacri della nostra nazione: lo stato, l’economia, la Chiesa. Quello stato che per primo c’ha addottrinati all’omertà colpevole e alla menzogna ad oltranza come mezzi utili e necessari per salvare lo sgabello e il prestigio. Quella chiesa che di fronte ad un’evidente scisma sotterraneo in atto da anni continua imperterrita a negare ogni pur minima diatriba al suo interno. Quell’economia che per anni ci ha fatto credere d’essere in fase di ripresa e ancor oggi s’intestardisce a negare l’evidenza di una povertà dilagante e disarmante.
Con buona pace di chi al cristianesimo ha preferito il moralismo, in coro diciamo: “Capitano, mio capitano”. Perchè cosa mai avrà detto di così diverso dal sentire popolare? Per questo merita la fascia sul braccio: per averci dimostrato il labile confine che esiste tra la Verità e la Menzogna. Almeno lui – e chi con lui fa parte di questa galassia pseudo-sportiva – l’ha fatto per difendere una tribù e una squadra che lo paga per difendere una bandiera a tutti i costi. Il problema è tutta l’altra parte dell’Italia, quella che gratis e a suo danno continua ad autoconvincersi che la verità sia davvero quella che le stanno facendo bere da anni. Se davvero il calcio stavolta fosse servito anche solo a far provare ribrezzo della Menzogna dilagante, una partita val bene una messa mancata: chissà che il buon Dio non si sia deciso di parlare un linguaggio più figurato per esprimere il medesimo concetto.
All’insaputa di chi Dio pensava d’averlo rinchiuso dentro gli armadi delle sacrestie; in realtà domenica era allo stadio.