Ciao don Marco, scusa il tono confidenziale. Sono una ragazza di sedici anni e frequento il liceo. L’altro giorno davanti al patronato mi hanno tacciato d’essere la solita contestatrice. Motivo? Nel mio profilo ho scritto: “Don non rifiuto quello che ci dici, ma così come ce lo spieghi non lo capisco e lo sento lontano, devi dircelo in modo più bello e divertente”. Volevo chiederti, visto che sei giovane (non che il mio don sia vecchio, però…) e ami buttarti nella mischia senza paura di sporcarti (fantastica l’immagine dello zabaione che ho letto nel tuo sito!): io non capisco più come parlano in chiesa. Ultimamente mi sembra più un gioco di parole che un qualcosa di coinvolgente. Che ci devo fare? Mi farò arrestare e verrò in carcere: dicono che là ci si diverta a messa! Scherzi a parte: dimmi che esiste anche un Vangelo che sia fonte di gioia e non solo di angoscia.
Ti stimo, non mollare.
(Elisabetta, 16 anni)
P.S.: se dico al parroco che ti ho scritto, secondo te mi saluta ancora? E’ una battuta. Ops: non tanto…!
Il sospetto, carissima ragazza, è che tu potresti continuare dicendo: ma davvero questa nostra vita è “una valle di lacrime” come ci sgoliamo a cantare nella Salve Regina? Oppure i castighi che ci capitano sono veramente meritati come ci autoaccusiamo nell’Atto di dolore? Se tu volessi infierire, poi, potresti chiedermi che senso hanno le messe per i morti (con annesse novene, rosari, giaculatorie in un latino più o meno maccheronico): davvero la zia Rita e lo zio Tanuccio – morti due secoli fa – sono felici se la loro messa costa più di quella del cognato della nonna, morto in odore di tradimento? Mi cogli impreparato, se vuoi la verità: pensavo che alla tua età i problemi fossero altri e invece “guarda qua – mi son detto – c’è ancora gente che s’intestardisce su queste cose”. A proposito: mi chiedo spesso anch’io quando certi ricreatori cesseranno di essere “i villaggi turistici di Peter Pan” – con la colonna sonora dei bans, della giostrina e del videogioco – e accetteranno di sfidare le grandi domande che abitano nel cuore di chi Peter Pan non lo vorrà mai diventare. A questo punto, diciamocelo, sarebbe meglio la follia megalomane di Icaro, almeno quel sogno gli è valso l’ebbrezza d’aver tentato un volo da protagonista.
Battute a parte (ops, non sono proprio battute, ad essere sinceri) l’hai afferrata al volo la verità della nostra fede: oggi non è più una delle tante scelte che abbiamo a disposizione ma sta diventando una scelta non semplice da portare avanti nella vita di tutti i giorni. Una volta c’era Sant’Agostino d’Ippona, alla cui scuola sono cresciute intere generazioni di credenti (e che tu magari avrai maledetto traducendo il suo latino): lui parlava di “sacrificio” perchè il paradiso e l’inferno si conquistano attraverso di esso. Oggi Sant’Agostino è dato in calo nei sondaggi: meglio Vasco Rossi con il suo “voglio una vita spericolata, voglio una vita piena di guai”. E’ come se la formica, famosa per essere laboriosa e oculata, venisse oggi presa in giro dalla cicala, il cui canto ha un qualcosa di irrazionale nel suo fascino. Però hai ragione: la formica deve smetterla di fare la vittima. “Forza, formica, rimboccati le maniche e accetta la sfida. Veloce!”. Eddai, ha ragione la cicala: la vita di fede oggi sembra essere diventata una routine senza sorprese, incapace di stupire, del tutto insignificante per la vita. Una messa ogni tanto (attenzione a non fare preferenze di defunti) dove sembra non succedere nulla di nuovo, un matrimonio al quale andarci perchè “sai, ci tiene tanto la zietta”, qualche volta un funerale che si spera sempre degli altri. Solitamente non è poi così “sacrificio”, anche se la vita è tutt’altra cosa. Uffa, ragazza: stavolta mi tocca dare quasi ragione a Nietzsche, quel genietto che s’intestardiva a smantellare il cristianesimo. Un giorno disse che il mondo non è stanco del monoteismo (la fede in una sola divinità) ma è sfinito dal “mono(tono)teismo”: lancinante questa battuta. E’ come se avesse dato voce alla tua rabbia, o forse malcontento: non si è stanchi di Dio, ma di quella nenia che ci viene raccontata e che finisce per somigliare ad un film straniero senza sottotitoli: incomprensibile. Pensa quanto fastidioso è vedere un film del quale non capisci la lingua: non capisci perchè la gente ride (però ti sforzi di ridere pure tu), perchè piange o grida, perchè si asciuga una lacrima o si annota nel fazzoletto di carta una battuta. Che nervoso questi film! A proposito: secondo te quando finiranno di intonare “Te lodiamo, Trinità” alla messa delle undici della domenica? Non che non sia una cosa eccelsa la Trinità, per carità: è che vale sempre la storia dei sottotitoli che mancano. Bisognerebbe tenere un vocabolario a portata di mano; però lo stupore e l’emozione o nascono o non nascono. Non si possono costringere.
La fatica oggi in parrocchia è forse quella di trasmettere passione a chi l’ha già persa da un pezzo. Far capire che quel passaggio fantastico che li aveva fatti vincere mille volte, o quella tattica innovativa che pensavano fosse sempre quella giusta, non possono essere ripetuti all’infinito. Insegnare che esistono le sfumature, la gamma dei grigi, spingere a trovare, e trovare noi stessi nuove idee. Se nascono da noi le sentiremo più nostre e lotteremo finchè ne sia riconosciuto il valore. La tua è un’esigenza, è lo stile dell’innamorato che sente il bisogno di trovare parole sempre nuove per dire l’amore: parole e immagini, suoni e melodie, evocazioni e narrazioni.
Chissà mai che la tua testardaggine non aiuti a prendere un po’ più sul serio la questione della fede coloro che la danno per scontata, coloro che dicono di andare a cercare quelli “fuori” e finiscono per “andare fuori” di testa pure loro, magari. La fede è anche questo: è il rischio che mostra la fedeltà ad un sogno.
Isocrate, un retore di fama del IV secolo, scriveva parole meravigliose, forse per autoconvincersi che la sua materia, da tanti ritenuta inutile, era invece assai importante: “queste discipline, poiché non seguono lo svolgersi della vita e non sono d’aiuto all’azione, non potrebbero arrecare alcun beneficio, ma giovano nell’atto di apprendere. Infatti quando gli alunni dedicano il tempo alla sottigliezza e alla precisione della astronomia e della geometria e sono costretti a volgere la mente ad argomenti di difficile apprendimento, e ancora, quando sono abituati a soffermarsi e sforzarsi sugli enunciati e sulle dimostrazioni e a non avere la mente distratta, quando in ciò sono esercitati e spronati, più facilmente e più in fretta sono capaci di accogliere e di comprendere i problemi più seri e più importanti”.
Eppure Dio dev’essere di una semplicità unica. Altrimenti perchè c’avrebbe raccomandato di somigliare ai bambini per poterLo capire?