maniwd5Come pioggia. Alle volte anche come grandine, a fine estate, quando ancora ti stai godendo il sole caldo e invece sei costretto a trovare riparo in fretta e furia, per via di un’abbondante scarica d’acqua ghiacciata che minaccia la tua incolumità.
Così, spesso, nascono le critiche alla Chiesa, alla religione, che vanno poi espandendosi, nella generalizzazione (molte volte) fino a mettere in discussione la sola possibilità di guardare in alto senza vedere solo atomi opachi e di credere che ci possano essere almeno valori e ideali condivisi, capaci di renderci uomini e donne migliori.
Cerchiamo febbrilmente nuovi apologeti per difendere la fede dagli attacchi di un secolarismo sempre più subdolamente aggressivo e viscidamente ipocrita, nei suoi attacchi ideologici.
Mi s’instilla il dubbio che non siano così indispensabili.
Non mi pare infatti che la dottrina cattolica sia a corto di ragionevolezza, che la Sacra Scrittura manchi di sapienza, che ai teologi (di oggi o del passato) manchino argomento o che agli intellettuali cattolici manchi mordente.
A mancare non sono le risposte, non le discussioni, anche se qualche volta la cultura sì. Il raffronto con altre non solo religioni, ma anche solo confessioni è impietoso. La diligenza catechetica degli ortodossi è ammirevole, la conoscenza biblica degli evangelici è lodevole. Al loro confronto, spesso anche tanti sacerdoti rimangono privi di favella…
Ma non è quello il punto fondamentale. Il punto basilare è la credibilità.
Forse per ottenerla serve davvero solo la preghiera, perché il Vangelo è così esigente, nella sua semplicità, da riuscire sempre e inevitabilmente a spiazzarci senza possibilità di replica.
Un esempio su tutti: la parabola del figliol prodigo. Tutti pensiamo al padre e al figliol prodigo. Tutto sommato, non è difficile fare il figliol prodigo, se hai la certezza di avere un padre misericordioso. Ed essere padre (veramente!) comporta un amore enorme, per cui è ancora comprensibile l’amore incondizionato e immutato del padre. Ma i problemi iniziano quando ci troviamo ad essere il terzo incomodo, cioè l’ altro figlio: quanto ci è difficile accettare che il figliol prodigo sia riaccolto nella comunità, con tanto di festa annessa. No, questo non riusciamo a masticarlo!

Esempi, in verità, non sono mancati. Mi limito a due, che hanno avuto una certa eco mediatica, per cui dovrebbero essere noti a tutti.
Quanti fiumi di parole sono stati spesi dagli antiabortisti, spesso – a mio avviso – con criteri sbagliati. Provo a spiegarmi: come si fa a dire che l’aborto è sbagliato perché contro una creatura di Dio, in una società sostanzialmente atea, nella quale un cane ha più diritti di un essere umano (e qui mi ritornano alla mente liceali ricordi di un certo Parini: “nulla di nuovo sotto il sole”, quindi…)? Bisogna ristabilire delle priorità. Bisogna essere più concreti. E io oserei dire che bisogna cambiare mentalità. In un libro (che non parlava di aborto!) il cardinale Angelo Scola portava l’esempio di un’esperienza di cui fu testimone: in Africa, una donna che aveva avuto figli da uomini diversi morì, lasciandoli orfani ancora piccoli; alla fine del funerale, il vescovo iniziò a chiedere «Chi prende questo? E questo?» e in breve tempo tutti i figli furono “assegnati”. Adesso i puristi staranno già rabbrividendo, pensando che non è questo il modo di gestire dei minori. Già, però intanto hanno evitato l’interminabile “purgatorio” d’attesa, i tira e molla tra parenti, istituti e potenziali genitori che in Occidente sono all’ordine del giorno. Siamo così sicuri di essere meglio noi?
A guardare bene, c’è di più: questa storia esemplifica un concetto primario che spesso noi perdiamo di vista. Un figlio non è (solo) figlio di una coppia, è figlio di una comunità. Se non arriviamo innanzitutto a questa consapevolezza, come possiamo dire che è figlio di Dio, evitando che siano solo parole al vento? Impossibile, credo.
Beh, a Livorno è successa una cosa simile, con le dovute varianti del caso, s’intende. Una storia semplice, così semplice da sembrare quasi una storia di Natale, visto che poi ha meritato i riflettori proprio in periodo natalizio. Una coppia in attesa di un figlio, il quarto: ma i soldi sono pochi e allora si è già pensato all’aborto, come soluzione al problema. Si tratta però di un problema che non lascia tranquilli, se finiscono a parlarne comunque con il parroco della chiesa di Santa Rosa, padre Maurizio De Sanctis (noto a qualcuno come Padre Nike, per il suo vestire sportivo e per la sua passione per la danza). E allora, ecco una soluzione diversa, per lo stesso problema: la parrocchia si farà carico delle spese. Una soluzione concreta, che va oltre parole di conforto, di speranza, trattazioni filosofiche o bioetiche. Che, in certe situazioni, rischiano di essere inadeguate. Va detto che questo meccanismo è poi il medesimo adottato da altri organismi o associazioni, tra cui ricordo, ad esempio, il Progetto Gemma.
Nel disastro della Concordia ci siamo accodati, forse un po’ troppo semplicisticamente, all’isteria collettiva di un’indignazione di massa con annesso tiro al bersaglio del capro espiatorio di turno, dimenticando dettagli non da poco. Il tanto lodato De Falco, ad esempio, non è immune da colpe, se si pensa che quegli “inchini” all’isola del Giglio erano una sostanziale abitudine; contraria ai regolamenti marittimi, però (del cui rispetto dovrebbe farsi carico la guardia costiera). Ma non voglio – in questa sede – attizzare ulteriori polemiche. Vorrei piuttosto sottolineare l’iniziativa di un altro sacerdote e, con lui, ricordare i tantissimi volontari che si sono dati da fare per rimediare alle negligenze di tanti. «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa» (Mt 25, 35): chissà se sono state queste parole ad avere incoraggiato don Lorenzo Pasquotti ad aprire le porte della chiesa nel cuore della notte, a far diventare coperte i paramenti sacri e letti le panche, a far diventare la casa di Dio il punto di riferimento per incontrarlo come Padre amorevole, che non dimentica i suoi figli.
Ora i più polemici vorranno sottolineare che hanno fatto solo il loro dovere. Lasciate che mi stupisca: in una società di diritti, cos’è che si fa per dovere?
No, la realtà è diversa. Non sono eroi, non vi ho parlato di eroi, ho parlato di persone comuni e di storie semplici, di difficoltà, di fatica, di amore. Perché non è per dovere che apri la porta della tua casa, e ancor di meno quella del tuo cuore. Perché in nessuno dei casi questa scelta è stata fatta sotto minaccia. Si è trattato di avere il coraggio di lasciarsi toccare dalla situazione di necessità di un altro, sentirla interpellare la propria vita abbastanza da esigere una risposta.
Ecco perché sostengo che la risposta alle critiche non sia tanto il dibattito, quanto l’agire concreto e vitale. “Lo spirituale è concreto”, sottolineava il mio direttore spirituale e non sempre mi era chiaro cosa intendere. Forse, queste storie aiutano a capirlo.
La spiritualità richiede concretezza, per poter essere Parola che s’incarna, Vangelo che si fa Vita, nella nostra quotidiana vita.

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