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A Gubbio quella volta fece storia l’incontro tra un lupo e un fraticello di nome Francesco, forte solamente del suo povero saio. Eppure la vera forza di quell’episodio non fu tanto quella di avvicinarsi alla ferocia di una bestia che seminava il terrore tra le vie del paese ma di essere riuscito laddove nessuno osava immaginare: far accettare ai cittadini la presenza di un lupo. Marino Occhipinti – che tutti ricordano per essere stato uno dei ragazzi della “Uno Bianca” – non è un lupo, è un uomo che dopo quasi vent’anni di carcere ha fatto pace con se stesso riuscendo a rielaborare un passaggio tragico della sua esistenza fino a capitalizzare l’errore fatto. Il pentimento di un uomo non cancella il dolore arrecato nel seno dei parenti delle vittime, come nella logica cristiana che anima gran parte del volontariato dietro le sbarre si tiene ben presente il fatto che la misericordia non cancella la giustizia. Ma è pur doveroso riconoscere che nulla è stato rubato allo Stato: a suo tempo si accettò l’ergastolo, oggi si accetta una semi-libertà prevista dallo Stato stesso. Una nuova vita che, per chi quotidianamente getta lo sguardo sul ciglio dell’abisso umano, è certo non cancelli in quest’uomo il peso di un atto che si porterà dentro per sempre; perché il reato di togliere la vita ad un’altra persona resta conficcato per sempre dentro al cuore di qualsiasi persona.
La concessione della semi-libertà a Occhipinti è la vittoria di chi scommette nelle risurrezioni dell’uomo ed è l’obiettivo della Costituzione Italiana stessa: rieducare l’uomo nel periodo della sua detenzione. D’altronde che senso ha oggi scommettere sull’avventura rieducativa di una persona se nella sua carta d’identità carceraria c’è scritto “fine pena mai”? Che senso ha oggi l’ergastolo e cosa lo differenzia da misure detentive orribili presenti in altre parti del mondo? Davvero basta chiudere la “belva” dietro le sbarre per sentirsi più sicuri e protetti a fare shopping nel centro delle vie? Vincere la paura è un tentativo rischioso ma che va fatto. Pur consapevoli che se una persona lavora a stretto contatto con il fango deve pur mettere in conto un giorno di potersi sporcare col fango: riaccreditare fiducia a uomini che hanno ferito è la scommessa più rischiosa che esista, perché l’uomo è l’essere più imprevedibile che esista. Eppure va fatto, dev’essere possibile farlo nel nome della speranza perché se uno si sentirà accolto il fischio delle armi nulla potrà contro il senso di una nuova appartenenza: e sarà una vittoria per tutta la società, anche per quelli che ne invocavano magari la pena di morte capitale.
La semi-libertà non è la libertà: stiamo bene attenti alle sfumature, perché è dai tempi di Michelangelo che abbiamo imparato che sono sempre i particolari a fare le differenze e decretare i capolavori. E pur non essendo la libertà, è un’occasione nuova di speranza: per chi ha ferito di rimettersi in gioco, per chi ha aiutato la risalita per continuare a credere che “è possibile”, per chi non crede alla rinascita dell’uomo per constatare che il bene molto spesso nasce sulle ceneri della disfatta. Padova è una città con oltre 800 “cittadini provvisori”, barricati dietro le sbarre del Due Palazzi: qualcuno è stato dimenticato pure dal suo parroco, quello stesso parroco che magari da qualche pulpito s’azzarderà ad aiutare l’innalzamento del patibolo. Eppure alla fine vincerà la dignità dell’uomo perché se è vero che esistono gli uomini malvagi è altrettanto vero che esistono uomini disperati che lanciano continuamente grida d’aiuto. Non raccoglierne l’eco è un po’ come collaborare ad azzannare la speranza.
Ch’è rimasta l’ultima discriminante tra la vita e la morte.

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