D’insopportabile bellezza, in Lei gli opposti coincidono e ciò ch’è apparentemente contraddittorio trova inaspettata composizione. Prese la penna Dante – quell’Alighieri fiorentino dai forti accenti e dalle rime ben intonate – a nome di tutti per dare un nome a quel fremito del cuore che nasce ogni qual volta l’uomo si specchia nel mare del suo volto: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo / fattore / non disdegnò di farsi sua fattura. (D. Alighieri, Paradiso, XXXIII 1,21). Come si fa ad essere vergine e madre, umile e alta, fattura-creatura che diventa grembo del Fattore-Creatore? Eppure di Lei ancor oggi s’avverte l’eco misterioso di passi che tengono accesa la speranza quaggiù sulla terra. Perché il suo è un volto che rasserena, conquista e convince: dietro quelle increspature di sognatrice c’è tutta la fatica della sua vita quotidiana di donna con la spesa da fare nella bottega di Nazareth, le incomprensioni con il marito Giuseppe e le prime preoccupazioni per quel figlio dal nome pesante, l’ansia dell’attesa e il senso del cammino, la precarietà di una vita appesa ad una promessa celeste. Una donna pure lei con mille paure cucite addosso: paura di non essere capita, di non farcela, paura per la cattiveria degli uomini, per la salute di Giuseppe, per il futuro di Gesù. Paura, forse, di rimanere un giorno da sola nonostante quell’elogio fattole dall’Angelo di primo mattino nella casa di Nazareth: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. Nessun Giusto aveva mai percepito un simile saluto, il più eclatante che sia mai stato indirizzato dal cielo alla terra. Sbalordita da quell’elogio che quasi la sconcertava. E magari avrà tradito anche qualche pizzico di spaesamento s’è vero che l’angelo l’ha dovuta rincuorare per troppa gioia: “non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”.
I fotografi che di Lei hanno scattato un primo piano raccontano le miriadi di sfaccettature di quel volto d’impareggiabile gaudio: il volto da bambina di Nazareth, il volto da madre di Betlemme, il volto da sposa nella bottega di famiglia, il volto adottivo del Cenacolo, il volto dignitoso sotto la Croce, il volto silenzioso di speranza del Sabato Santo. Eppoi il volto radioso di luce di quel primo mattino tutto ebraico della Risurrezione: “Chi cerchi, mamma? Sono io che ti parlo”. Oggi a non temere sono coloro che a lei s’aggrappano come ostriche sullo scoglio. O come gufi nella notte. Gente di paese che nei fondali degli abissi, nel ventre delle galere, dentro il labirinto della disperazione più nera cercano in quello sguardo il segreto di una risurrezione perché Lei è rimasta la Donna dell’Aurora: “a tutti è dovuto il mattino, ad alcuni la notte. A solo pochi eletti la luce dell’aurora” (Emily Dickinson). E lei campeggia lì, nei primi righi della Genesi e nelle ultime righe dell’Apocalisse: l’Alleanza tra Dio e l’uomo è stretta nelle mani di una Donna che pure il serpente un giorno temerà, che Dio lascerà immacolata e assunta a imperitura memoria di coloro che sotto il peso della disperazione cercheranno un volto affidabile al quale confidare la leggerezza di una paura o semplicemente il fremito di un’attesa.
“Siano pure sessanta le mogli del re,
ottanta le concubine,
innumerevoli le ragazze!
Ma unica è la mia colomba, il mio tutto,
unica per sua madre,
la preferita di colei che l’ha generata.
La vedono le giovani e la dicono beata.
Le regine e le concubine la coprono di lodi:
«Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come la luna, fulgida come il sole,
terribile come un vessillo di guerra?».
Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere i germogli della valle
e osservare se la vite metteva gemme
e i melograni erano in fiore.
Senza che me ne accorgessi, il desiderio mi ha posto
sul cocchio del principe del mio popolo.
(Dal Cantico dei Cantici cap. 6 vv. 8-12)
Fosse per lei i capitelli – che l’uomo le ha costruito in segno di venerato amore – li eviterebbe volentieri: la strada e la vita di bottega rimangono tutt’oggi il suo habitat preferito per continuare ad infondere coraggio nel cuore della gente di periferia. Magari con la sua brocca ancora sulla testa, perché non s’è mai sentita superiore alle amiche per quel quid di mistero che avvolgeva la sua giovane storia. Con la brocca sul capo e quell’amabile sorriso sul volto: perché Lei, immacolata nei pensieri, ha capito per davvero che in un mondo di schiavi l’unico modo per essere liberi è diventare servi di Lui.
La donna normale: “la bocca / che prima mise / alle mie labbra il rosa dell’aurora, / ancora / in bei pensieri ne sconto il profumo” (Umberto Saba). Mai festa arrecò più nostalgia all’uomo fuggitivo.