788766008Ogni fatto avviene in un tempo e in un luogo. Vivere a Roma, a Milano o a Quarto non è la stessa cosa. Così come non lo è nascere in una famiglia di nobili decaduti, di metalmeccanici, di impiegati o di contadini. E non si tratta neppure di cercare di stabilire quale tra queste situazioni sia la migliore. Innanzitutto, c’è però bisogno di stabilire e attestare la diversità di una situazione dalle altre, che si declina poi nella costruzione della necessaria identità con se stessa.

Ci sono tempi necessari che sono studiati con cura, ricercati con passione. Ce ne sono altri che ci arrivano quasi dall’alto, ma sta a noi portarli a frutto. Ci sono spazi che sono geografici; altri che sono di tutt’altro tipo.

Anche la nostra vita di relazione si sviluppa entro confini di spazio e di tempo. Alcuni sono voluti e cercati; altri – al contrario – si manifestano a noi come un sovrappiù che è possibile cogliere oppure no.

Vi è poi uno spazio particolare, anche più che necessario, che tuttavia non si dimostra sempre disponibile a noi nel modo che vorremmo. Si tratta di uno spazio che non è fisico, e tuttavia chiede di essere abitato: è lo spazio della libertà.

La nostra vita lavorativa, così come il tempo del divertimento sono fondamentalmente imperniate intorno alle nostre relazioni. Ma non tutte sono sane. Alcune fanno sviluppare una dipendenza – reciproca o unilaterale, consapevole o, peggio ancora, inconsapevole – che non farà mai bene a nessuno. Non esistono dipendenze innocue, anche quando si tratta di qualcosa che esula da una dipendenza o assuefazione di tipo organico. Vi è una mancanza di autonomia, provocata da alcuni rapporti mal gestiti che sono forse ancora più dannosi.

 

Cercherò di essere concreta. Scaricare ansie e frustrazioni sull’amico-martire di turno, quando diventa abitudine per sbarazzarsi di responsabilità o sensi di colpa e insignire qualcun altro della responsabilità di decidere, è un primo segnale di questa mancanza di autonomia. Con il passare del tempo, tale abitudine rischia di diventare così radicata da non riuscire a concepire la mancanza dell’altro. Si può arrivare a una sorta di subordinazione, per di più cercata. Ricevere la gratificazione, la rassicurazione e l’approvazione sono così fondamentali da diventare indispensabili per la vita quotidiana. In mancanza di quello si rimane disorientati, incapaci di prendere a due mani le questioni che ci attanagliano. È questa la prova più evidente del raggiunto “regresso” e della ormai assoluta mancanza di autonomia.

È da sottolineare poi che una sorta di “sottofondo dipendente” è probabilmente integrata in ciascuno di noi, nel senso che tutti siamo sensibili all’approvazione altrui. Basti pensare al ruolo della moda in scelte anche secondarie e di poco conto nella nostra vita. Forse, in certa misura, il pensiero dell’approvazione altrui è inevitabile, nella vita in società. Purché non diventi il pensiero dominante di cui siamo perpetui schiavi!

Del resto, infatti, quando la situazione ci concede spazio di libertà e serenità decisionale, viviamo più in pace con noi stessi e con chi ci sta intorno. Questo spazio è difficile da ritagliare, per il semplice fatto che necessita di una reale collaborazione delle parti in causa (non basta la volontà e lo sforzo personale, ci dev’essere un tentativo di prendere una strada congiunta verso questa precisa direzione).

Il tempo di Avvento ci aiuta a riflettere proprio in questo senso. Un Dio Bambino che ci viene incontro, sconvolgendo i nostri piani, avvicinandosi a noi fino a sfiorarci, ma senza oltrepassare quello spazio che ci garantisce libertà di azione, di scelta, di pensiero e ci racconta di un Dio vicino, ma pieno di garbo e delicatezza verso il cuore dell’uomo.

Mantiene le attese e le rinnova, intima di svegliarsi dal torpore, perché è ormai troppo tempo che dormiamo, placidamente appisolati sulle nostre certezze.

L’arrivo in sordina di Cristo, tra case ormai così piene di cose da non avere più posto per nient’altro, ci chiede di metterci in cammino e di porci qualche domanda, su di noi, sul nostro modo di porci gli uni gli altri.

C’è un tempo che richiede silenzio e un silenzio che interroga il tempo.

Solo in questo modo l’attesa si riempie di significato e di pienezza.

Questo è lo stile di Dio: mantenere quella delicatezza che consegna all’altro sufficiente spazio di manovra da consentire la pienezza e totalità di un rifiuto, di un allontanamento.

Tutt’altra musica rispetto ai tentativi di plagio, di coercizione, ai ricatti affettivi a cui ci vediamo tanto spesso costretti, nella vita di tutti i giorni.

L’augurio è quello di imparare a far nostro questo “stile” di Dio, per far assaporare il profumo della libertà e della gratuità, che lascia sempre dietro di sé una scia di serenità. Perché chi è disposto ad accettare la verità, è disposto ad accogliere, senza soggiogare nessuno nel tentativo renderlo simile a sé!

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