20071109-curiousSin da quando è piccolissimo, il bimbo mette in luce grande curiosità. Prima sgrana gli occhi, muove le pupille, poi inizia a conoscere attraverso il tatto e, quando inizia a camminare, l’esplorazione si fa ancora più dinamica e movimentata.

Ma viene da pensare, complici anche vari studi al riguardo, che già fin dal grembo materno inizi il processo di scoperta e di conoscenza di ciò che è altro–da–sé.

A volte attraverso il gioco, individuale o organizzato, altre volte attraverso attività didattiche più specifiche e mirate, sono tante le occasioni che il bambino ha di utilizzare positivamente la propria fantasia per amplificare il processo conoscitivo, per dare sfogo alla creatività e alla fantasia.

Quando i bambini crescono, le cose si complicano, spesso con l’inizio della scuola. Ambiente socializzante, aggregante, ma a volte un po’ troppo “stretto”, specie per alcuni bambini.

Ci sono bambini svogliati, a scuola, che sembra facciano tutt’altro. E poi ci sono bambini… interessati solo a quello che vogliono loro. Poco attenti alla lezioni, ti sorprendono poi con domande che – solo apparentemente – esulano dalla spiegazione: in realtà hanno preso spunto da questa, per approfondire preconoscenze che erano in loro possesso e mettere in relazione le nuove con le vecchie conoscenze. E proprio da questo incontro sono nate le domande insolite, impertinenti, inaspettate, insospettabili. Che, tuttavia hanno il pregio ineguagliabile di rendere evidente che questi bambini non sono poco interessati, anzi hanno – con ogni probabilità – una capacità di ragionamento anche più veloce della media, qualità che consente loro di fare collegamenti molto più profondi. E che li porta a fare domande che vanno “oltre” la lezione.

 

Ma questo mal si concilia col programma! Come fare? È giusto penalizzare  la legittima curiosità del bambino? Giusto ignorare le sue domande? Oppure rispondervi, rischiando di penalizzare il programma?

Ho ben presente l’ansia da prestazione che assilla soprattutto gli insegnanti, ma anche gli studenti (più che altro, in prossimità degli esami). È più che comprensibile la difficoltà oggettiva di prestare attenzione alla curiosità e alla fantasia dei bambini, assecondare i loro dubbi, legittimarli come valore aggiunto dell’apprendimento e – oserei dire – anche del reciproco insegnamento. Sì, dico insegnamento. Perché se è vero che l’insegnamento non è mai a senso unico, ma è un reciproco arricchimento, in cui l’insegnante è il primo a giovare dell’insegnamento degli allievi, la curiosità messa in campo dai più piccoli diventa sprone per noi più grandi.

È davvero un arricchimento senza paragoni osservare la curiosità dei bambini nel suo diventare atto concreto. Nel suo essere motore verso la conoscenza.

Domanda dopo domanda, il bambino mostra la propria curiosità e la propria voglia di conoscere. Fino al muro in cui, inevitabilmente, il bambino si infrangerà. Quel muro costituito dal “non lo so” dell’adulto, che lo rende consapevole che neppure chi ha la sua stima e gli ha insegnate tante cose è in grado di conoscere tutto.

E allora mi sorge un dubbio: non è che in fondo – inconsapevolmente, se vogliamo – quella curiosità è fastidiosa perché ci ricorda come eravamo e come, troppe volte, ci arrendiamo alla realtà del “è così”, senza darci la possibilità di mettere in discussione il reale, con una nuova domanda che ci faccia andare (almeno un passo) oltre?…

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