Quando il 10 maggio 2006 alla quarta votazione l’hanno eletto undicesimo Presidente della Repubblica Italiana con 543 voti su 990 votanti dei 1009 aventi diritto, le confesso che non sentii emozionarsi il cuore, carissimo Presidente. Sarà stato forse per quell’aspetto dal piglio severo, o forse quella testa pelata che a me faceva riannodare vecchie immagini studiate sui libri di storia, o semplicemente per il suo passato politico che da tanti mi veniva narrato con ambiguo apprezzamento. Fatto sta che quel giorno non è stato di certo uno dei giorni più appassionati della mia vita di ragazzo e di cittadino. Per me Giorgio Napolitano sarebbe stato niente più che il successore di Carlo Azeglio Ciampi e il predecessore di un altro che verrà dopo di lui. Forse non avevo fatto mio del tutto un monito che la grande storia dell’umanità mi aveva raccontato sui libri di scuola, ovverosia che sono sempre i tempi lunghi a decretare o meno la validità di un pensiero, di uno stile e forse anche di una persona. Da convinto assertore del protagonismo giovanile, mai avrei pensato un giorno di dover porgere le mie scuse ad un anziano politico che oggi – contro il mio interesse – devo ringraziare per essere il custode dell’ultimo brandello di dignità conservata dalla mia amatissima Patria Italiana che dalle Alpi si stiracchia fino a Lampedusa..
Che un vecchio signore – la cui tempra fisica e mentale a molti arreca gelosa invidia – sia osannato e applaudito dalla folla giovane al suo passaggio non è cosa semplice in questi tempi bui e ambigui per la politica. Riaccendere la passione per il bene comune e l’amore riverente per la Costituzione che ci ha permesso di veleggiare in tempi burrascosi non è cosa di poco conto. Sembra davvero strano, eppure se qualcuno tra noi giovani vorrà davvero firmare una vita da protagonista, dovrà volgere lo sguardo all’amabilità di due ultraottantenni: Giorgio Napolitano e Benedetto XVI, per riportare l’essere politica e l’essere chiesa a riprendersi una dignità smarrita nella facile tentazione del successo. E allora poco contano ai miei occhi gli attacchi del comico genovese Beppe Grillo, di Marco Travaglio o di Piero Ricca o della voce sgrammaticata di Antonio Di Pietro secondo i quali lei è “colluso” con la volontà del nostro Silvio Berlusconi. A me – e sono convinto, a tanti giovani come me – ciò che conta è che lei continui ad essere il garante ultimo della nostra Cotituzione come ha fatto finora. Certamente essere a capo di una nazione non è un augurio da fare a nessuno – anche se tanti sono disposti a tutto pur di sedersi lassù e contemplare l’Italia dall’alto – e dispiace davvero che il suo mandato si debba svolgere dentro le lacerazioni di una crisi economica planetaria. Ma non si preoccupi: chi nelle questioni è abituato ad andare al centro, le è grato per non essersi mai fatto intruppare in discussioni di poco conto. E nell’era delle ampolle riempite dell’acqua del dio Po, dell’aborto terapeutico di donna Padania, della Trota e del Delfino, e del “Forza gnocca” che arreca l’erezione del cervello non è sempre facile mantenere quella calma che sola permetterà al nostro Paese di rialzarsi.
Insomma, egregio (e stavolta il termine egregio – “fuori dal gregge” – ci sta tutto) Presidente, accolga le mie scuse più sincere per non aver compreso sin dall’inizio la solennità del suo ruolo. Temevo davvero che lei sarebbe diventato un Presidente di parte: oggi sono fiero – e il mio carattere me lo impedirebbe volentieri – di dovermi ricredere. Perchè in uno stato in cui la gnocca e lo sgabello sembrano i sostituti della “falce e del martello” c’è ancora qualcuno che parla di dignità. A lei e a quell’altro vecchietto dall’aspetto amabile salito al soglio di Pietro, l’augurio è quello di una lunga vita: sarebbe davvero triste un’Italia e una Chiesa senza l’autorevolezza della vostra vecchiaia.
Perchè stavolta essere vecchi non è sinonimo d’essere rimbecilliti. Tutt’altro.