noLa campana ha dato l’ultimo rintocco: fra qualche secondo lui (il prete del mio quartiere) inizierà la messa. Per quanto mi riguarda è da mesi che ho scelto di non andarci più: preferisco bivaccare sul sagrato. Forse mi bollerete come uno “senza Dio” o mi incasellerete in quella generazione che troppo presto avete tacciato di menefreghismo generale. Nulla di tutto questo: fino all’anno scorso ci partecipavo alla messa. Poi lentamente ho capito che se volevo custodire la bellezza e il fascino del cristianesimo dovevo uscire e prendere un po’ d’aria. Gliel’ho spiegato al mio prete: “parlami di Dio a messa, per favore”. Lui mi ha guardato stralunato, come a dire: “di cosa ti ho parlato sinora?”. Spiegagli tu che ormai ha sposato così a lungo la sua abitudine da non accorgersi più di quello che dice. “Stavolta almeno spiegaci il Vangelo, don”. E lui a tuonare contro Berlusca e i privilegi della Casta, a criticare la Manovra e lo stile dei deputati, a sferrare attacchi contro la sete di potere di chi non molla lo scranno (lui è nella mia parrocchia da trentatre anni,ndr). Fulmini e saette contro le vallette, le Spice Girls (sempre quelle) e i costumi mondani delle donne senza veli sulle spalle. Di Cristo e di quel fascino che in punto di morte sorprese pure Napoleone nessun cenno, come se nell’Eucaristia tutto questo non fosse necessario ma opzionale. Lo chiedo a voi: è tutto qui il cristianesimo?
Meglio il sagrato: perchè c’è un’immagine di Gesù Cristo che è troppo bella per lasciarla diffamare da certi discorsi. La sua fortuna è che in Chiesa non c’è contradditorio e il microfono ce l’ha lui, ma se noi siamo obbligati a tacere non siamo obbligati a rimanere. Da qualche domenica sto fuori e faccio più proseliti io qua fuori senza parlare di lui che dentro urla al microfono. Nemmeno s’accorgerà, o forse farà finta di non accorgersi: la furbizia di chi studia teologia è sempre esuberante rispetto alle nostre previsioni. Fatto sta che io gli voglio bene: è pur sempre il prete che m’ha battezzato. Però la sua immagine di Dio non attecchisce, nel senso più botanico del termine. Il Dio della paura e del controllo, il Dio come Essere Perfettissimo e Supremo è un Dio per me impassibile. E quasi impossibile. Gli chiedo qualcosa e il prete quasi mi dice: “non vorrai mica dare un dispiacere a Dio, vero?” Quasi Dio fosse un Grande Dispiaciuto sempre accigliato e col dito contro.
Il mio non è un partito preso, ci tornerei volentieri là dentro se in Chiesa lui tornasse a parlare di Dio. Non basterà la castagnata d’autunno in oratorio a convincermi: il cuore giovane si muove con un’appassionata curiosità e un’amabile cura. Lungi dal fare i preziosi, noi sul sagrato c’abbiamo gusto fine per le cose e sappiamo distinguere i prodotti originali da quelli contraffatti. Noi cerchiamo il Dio vivace della Scrittura: quello che ride e gioca con i suoi figli, che crea e inventa. Che li aiuta a trovare un senso al loro precariato, che vedendo i loro sguardi trafitti parla loro di amore, di passione e di seduzione. Che ci stupisce conoscendo i nostri nomi uno ad uno e che ci racconta di come ha creato il sole, la luna e il firmamento. Che ci insegna a vincere le nostre paure, ad ottimizzare i nostri sbagli, a organizzare il nostro futuro. A non temere i contraccolpi di chi s’impegna per ammazzare la speranza.
Io lo capisco il mio parroco: più che incapace è forse un po’ demoralizzato perchè nemmeno stavolta l’hanno fatto monsignore. Io spero che mi risponda domenica prossima ma sopratutto che capisca che a noi giovani un Dio facile non convince più. Perchè un Dio facile è quasi sempre un Dio sbagliato.

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