Terminata la GMG inizierà il festival del superlativo, pure tra i giornali di stampo cattolico: perchè un’ondata così colorata di giovinezza dalla nostra parte è sempre un boccone ghiotto da non lasciarsi fuggire: “grande”, “record”, “storica”. Parleranno di Woodstock cattolica e raffronteranno i papaboys (diamo una menzione di disonore a chi ha timbrato questo sostantivo che richiama più un FansClub che un’immagine di fede) con gli indignados della Spagna che li ospita. Saranno un milione per gli organizzatori, cinquecentomila per la Polizia, rimarranno quelli giusti per Lui che li ha convocati fuori dalla sacrestia per parlare al loro cuore. Qualcuno s’azzarderà pure a raffrontare i fans di B16 con quelli di GPII: proiezioni e numeri che anestetizzano lo stupore di fronte all’unico vero miracolo compiuto da questi ragazzi: l’essere chiesa unita.
Chi scende dall’elicottero delle grandi inquadrature e si aggira tra le strade dove vivono i giovani, avrà sentito spesso un’espressione tipica del mondo giovanile e non solo: “Cristo sì, Chiesa no”. Suadente il messaggio firmato da Gesù di Nazareth, irriverente il comportamento della sua Chiesa che finisce per allontanare i cuori dall’Uomo della Croce. Eppure a Madrid sono i giovani stessi a smontare questo teorema che sembrava inestricabile, fin quasi a dire: “Cristo sì, con la sua Chiesa”. E’ questo – al di là delle statistiche e dei numeri – il grande guadagno di queste manifestazioni: scoprire che i giovani provano gioia, coltivano la passione del Vangelo e trovano la forza di testimoniarlo con i loro alfabeti raccogliendosi assieme, cioè costruendo ed essendo Chiesa. La fatica nascerà quando rimetteranno in spalla i loro bagagli e se ne torneranno a casa, dentro alle loro parrocchie, nel mezzo di una Chiesa che non li riesce più ad accendere come in queste occasioni. Penso sia proprio questa la denuncia affettuosa che lanciano in coro da Madrid queste flotte di giovani: “ridateci la Chiesa”. E il motivo è presto detto: nell’accampamento di Madrid – ci piace pensare a questa fede “fuori dalla sacrestia” – c’è posto per tutti. Per chi nella figura di Cristo ha posto la sua fede e per chi di Lui ha solo sentito parlare, per chi ci va convinto e per chi ci va curioso, per chi cerca una conferma alle sue risposte e per chi cerca una domanda che accenda i suoi passi. E’ una Chiesa ecumenica quella che si riunisce attorno all’Eucaristia in quel campus spagnolo, una Chiesa nella quale i giovani si sentono a casa propria. La qual cosa – e questa è la denuncia che ci lanciano – faticosamente avviene nelle nostre parrocchie e nelle nostre diocesi: c’è posto se sei di quella frangia, se ti ritrovi in quello stile, se appartieni all’Azione Cattolica o al mondo degli Scout. Se vai a messa la domenica, se partecipi alla castagnata in parrocchia o se sei di quelli che sono “amici del don”. E per tutti gli altri sembra non esserci posto, o meglio: c’è posto a parole ma se ciò richiede di rimettere in gioco uno stile, una pastorale datata, una programmazione già fissata allora li ascolteremo un’altra volta. A questa immagine di Chiesa i ragazzi dicono in coro: “Cristo sì, Chiesa no”. Hanno tutti i torti?
Non saranno loro a vincere la sfida contro il laicismo ma siamo sicuri che non tenteranno nemmeno la via delle crociate come altri prima di loro. Semplicemente ci stanno mostrando quant’è bello essere Chiesa laddove la fede è un’occasione di gioia convinta e non di devozionismo costretto. E’ per questo che dovremmo dire grazie a loro certi che le nostre chiese e le nostre parrocchie tornerebbero a diventare spazi ospitali per i giovani se solo avessimo il coraggio di tornare a parlare di Lui usando l’alfabeto della gioia, della sorpresa e del coraggio.
Vorrebbe dire far sentire i giovani a casa loro.
* (da wikipedia.it) – Per effetto placebo si intende una serie di reazioni dell’organismo ad una terapia non derivanti dai principi attivi, insiti dalla terapia stessa, ma dalle attese dell’individuo. In altre parole, l’effetto placebo è una conseguenza del fatto che il paziente, specie se favorevolmente condizionato dai benefici di un trattamento precedente, si aspetta o crede che la terapia funzioni, indipendentemente dalla sua efficacia “specifica”.
In questo caso intendo sottolineare come di fronte ad una espressione sentita moltissime volte – “Cristo sì, Chiesa no” -, ci siamo anestetizzati ad essa. Fin quasi a renderla valida come giustificazione delle nostre inadempienze pastorali e senza saper leggere il margine di creatività e di denuncia insito in essa.