charleneIn quel Principato dal fascino così appetitoso tutto è sparato alle stelle: dallo stile di vita a quello di pensiero, dalla lunghezza degli yacht ai prezzi dei ristoranti, dalla pulizia delle strade alla magia del suo Gran Premio. Un pezzo di terra dove tutto è chiaro, limpido ed entusiasmante. C’è un solo dubbio che potrebbe sorgere ai monegaschi in questi giorni successivi ai festeggiamenti per il matrimonio (si può chiamarlo così?, ndr) tra Alberto e la bella nuotatrice sudafricana Charlene: il loro Principe passerà alla storia come un governante d’alto spessore o per essere candidato alla possibile benemerenza da parte della Banca Mondiale del Seme? Eggià, perchè dopo i due figli riconosciuti, altri due marmocchi si prospettano a battere cassa nelle tasche e nei pensieri del regnante. Anche se l’alta diplomazia – come sono prevedibili le diplomazie di qualunque ente! – s’affretta a negare il tutto. Resta il mistero di quella fuga inaspettata di Charlene bloccata in tempo dagli agenti del Principe: le sue lacrime di fronte al non-imbarazzo dell’arcivescovo ne potrebbero essere domattina la prova eclatante. Alberto come Cesare: quando il popolo gli chiedeva sesterzi (cioè soldi) lui amava dire che Cesare va sempre dritto e non sterza mai. Cesare come Alberto. O come tanti regnanti accecato dal potere.

Un matrimonio di rito cattolico celebrato dall’arcivescovo e da altri tre vescovi: una delle bufale più grandi e sorprendenti dell’ultimo decennio (forse ancor più di quello di Briatore-Gregoraci celebrato dal card. Paul Poupard, Presidente emerito del dicastero Fede e Cultura, ndr). Perchè una Chiesa che da troppo tempo si barrica dietro una morale sessuale ferrea e inavvicinabile dimostra di cedere per l’ennesima volta al nettare del potere e della diplomazia. La teologia insegna che uno dei tre presupposti necessari per la validità di un matrimonio è la libertà di chi lo contrae: fino a prova contraria una sposa che scappa e viene costretta a rientrare per non bloccare i festeggiamenti non è segno di grandissima libertà. A meno che l’ultima frontiera della fanta-teologia non si prenda il lusso di giustificare l’esatto contrario facendolo passare per l’eccezione che conferma la regola. Il messaggio che per l’ennesima volta è passato in mondovisione – oltre alla gioia costretta e alla mal celata tristezza delle nozze – è che chi oggi è onesto con se stesso, con gli altri e con Dio passa per fesso anche agli occhi della Chiesa. Meglio peccare pubblicamente, riconoscere figli a dismisura e poi addossarsi una corona come immunità piuttosto che accettare con sofferenza lo sbaglio di una scelta fatta e chiedere di riavvicinarsi a Dio con il cuore sereno. Questa Chiesa non ci piace e ci preoccupa per l’incoerenza massima: potrebbe piacere ad Alfonso Signorini, a Candida Morvillo o alla redazione di Studio Aperto che hanno fatto del gossip il loro cavallo di Troia per creare cultura ma non può che rattristare il popolo che dentro le ferite della storia va cercando Dio con il cuore ferito e contrito.

La salvaguardia dell’istituzione sembra valere davvero di più che la tutela dagli scandali dei più piccoli e dei più deboli: ma a questo la Chiesa ultimamente sembra non dare troppo peso. Ci sarebbe almeno piaciuto che l’arcivescovo avesse evitato quell’imbarazzante domanda a Charlene sull’importanza della fedeltà e del perdono. Prima di tutto per non fare passare per fessi quelli che quella domanda l’hanno sentita uscire dalle sue labbra. Eppoi per avere la certezza che almeno l’arcivescovo fosse a conoscenza dell’invalidità di quel matrimonio. Che, stanti alla teologia cattolica che tanto piace a Santa Roma a Chiesa, chiede tre condizioni: libertà, fedeltà e accettazione della prole. Sull’ultima si può discutere, sulla seconda apriamo un dibattito. Sulla prima, però, c’era già un biglietto di sola andata pronto per il Sud-Africa. Tutto troppo chiaro: a meno che la Chiesa per i principi non abbia un formulario diverso da tutti gli altri mortali. La qual cosa non ci stupirebbe più.

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