Lui – al secolo Petrucci Gianni da Roma – è il numero uno del CONI, l’organizzazione massima italiana che ha come scopo la tutela, la salvaguardia e la promozione dello sport nazionale. E’ al quarto mandato consecutivo che si concluderà dopo i Giochi Olimpici di Londra 2012, termine ultimo dopo il quale l’auspicio è che se ne torni a giocare a bocce nel limitrofo campetto lungo l’argine del Tevere, appena prima di Ponte Milvio.
Lui comanda e tutto è fatto, parla e tutto esiste. Dice e tutto è condannato o, tutt’al più, infangato di sospetto. Il 12 aprile 2011 se ne uscì con il segreto di Pulcinella urlato ai quattro venti: “Io sono fortemente preoccupato e deve essere il ciclismo stesso a fare atti concreti, a dire basta. Il presidente Di Rocco deve dire “la dovete smettere perchè non vi crede più nessuno”. Grandissimo Petrucci, uomo tutto d’un pezzo: lo sport e la sua dignità nazionale vanno tutelati dall’infamia del doping. E il Presidente Di Rocco china il capo e accende la ghigliottina: ognuno (quasi tutti, ndr) china la schiena di fronte ai suoi superiori. Il ciclismo deve espiare chissà quale colpa adamitica, da quel 5 giugno 1999 quando immolarono colui ch’era diventato l’emblema dello sport nazionale, quel Marco Pantani di cui mai sapremo l’entroterra. E gli applausi si sono levati a favore di Petrucci nel mentre scagliava l’ennesimo dardo infuocato contro uno sport che, a ragion veduta, ha portato più di un alloro durante il suo mandato quadriennale. La preoccupazione del Gianni Sportivo è sana: è suo dovere tutelare lo sport nazionale, non solo il ciclismo. Ecco qui il punto per il quale noi invochiamo il tesseramento “per raggiunto limite di pensiero” del nostro Presidente del CONI al circolo bocciofilo lì vicino: lui deve tutelare lo sport in generale, non prendersi cura solo del ciclismo. Le sue parole potevano diventare l’emblema di una nuova (forse l’ennesima) pagina che ridesse allo sport la sua dignità perduta. Ha smarrito la chance – o meglio, ha smascherato il suo pensiero – quando qualche settimana dopo s’è innamorato della “filosofia dello struzzo” nel mentre il suo beneamato calcio s’è infognato nell’ennesima barbarie delle scommesse clandestine: partite truccate, sonniferi somministrati, risultati taroccati. Il mondo del calcio in piena bufera giudiziaria. E la risposta del premuroso Presidente non s’è fatta attendere: silenzio completo. Per la maggior salvaguardia delle indagini in corso, ovviamente.
Sono mesi che la magistratura è accusata – a ragione o a torto – d’essere platealmente manipolata e manipolante. Ora abbiamo la certezza che pure la politica sportiva (dalla quale dipendono carriere, album e vite umane) viaggia nella stessa lunghezza d’onda. Perchè rischiare di toccare il calcio è correre il rischio di Icaro, che si brucino le ali per aver voluto avvicinarsi troppo al dio Sole. Tace il presidente della massima organizzazione sportiva nazionale: perchè dovrebbero parlare gli altri? E allora benvenuti alle cordate di zingari, agli investitori clandestini, agli ex-operai del calcio tramutatisi in esperti di management sportivo. Sponsorizzati dall’atteggiamento di un uomo che non sa usare il medesimo stile con tutti gli sport. Nel frattempo se ne va la passione per questa forma di religione nazionale, la fiducia nelle gesta gloriose dei novelli eroi, l’affetto nei confronti di uno sport che da anni nasconde al suo interno la magica follia di autoricaricarsi e autoproteggersi da qualsiasi forma di indagine esterna. Almeno da questa vicenda abbiamo capito veramente come stiano le cose nelle stanze dei bottoni: il sacrificio di un’intera disciplina vale la salvezza di un’altra che assicura potere, poltrone e applausi. Fino al giorno in cui, tolta la corona, lo vedremo giocare a bocce dall’altra parte dell’Olimpico. Forse quel giorno si rischierà di sentire qualche parola nuova.
E qualche atteggiamento meno fazioso.