Toilette“Dio c’è”: l’hanno scritto persino nel bagno dell’Autogrill di Badia al Pino, lungo la A1 Bologna – Roma. Lo scrivono i tossici come linguaggio in codice, si sforza di dirlo il cardinale mal celando l’abitudine ormai usurata, lo si chiede di imparare a memoria ai bambini dentro i vuoti oratori, lo si raccomanda di esibire in tutte le occasioni utili. Perché dire “Dio c’è/esiste” è una bellissima scusa da apporre al ragazzo che sta morendo, alla coppia che sta scoppiando, alla ferita che sta sanguinando. “Dio c’è” è un’espressione che non parla più: per fortuna per noi o purtroppo per loro. Oggi chi scarabocchia sui piloni delle strade, sui ponti delle autostrade, sui muri delle chiese rischia la denuncia per “imbrattamento di suolo pubblico”: siamo nell’epoca dell’ordine e del formalmente corretto e pulito. L’ha capito (a malincuore) pure la Chiesa: troppe volte ha usato quest’espressione fino a farla zittire e renderla incapace di parlare al cuore della gente. Forse che Cristo non è più di moda e la sua presenza non conta più così tanto nel cuore delle folle? Che differenza c’è tra la scritta affissa nel cesso dell’autogrill e la stessa espressione nel mentre esce dalla bocca di un ministro dal pulpito di una Chiesa? Ci dispiace darne la risposta: nessuna. Perché anche noi siamo come le persone del tempo di Gesù: quello che ci rompe, lo spostiamo. Lo cancelliamo o, nel migliore dei casi, ci sforziamo di dire alla gente che laddove l’apostolo ha scritto quella parola in realtà ne voleva dire proprio un’altra. Il nostro delirio d’onnipotenza a volte fa più danni dei graffiti lasciati in calce al muro della chiesa di paese.

In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città.
Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo. (Dagli Atti degli Apostoli 8,5-8.14-17)

L’abbiamo tradito Paolo. E assieme a lui il suo Maestro. L’abbiamo tradito, ammazzato e – vergogna delle vergogne – ne abbiamo manomesso il testamento. Di tutta quella bellissima pagina abbiamo tenuto solo la prima parte: “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Troppo comodo, gente: fosse sufficiente questo, allora basterebbe scarabocchiarsi sulla fronte la scritta “Dio c’è” e girare per le strade. Già lo facciamo da anni, ce l’hanno insegnato così bene che non diventiamo neppure più rossi in volto dal pudore, è diventato parte della nostra lurida faccia di apostoli fai-da-te. Perché Paolo c’aveva aggiunto la seconda parte a quel versetto (e noi l’abbiamo tranciata perché troppo faticosa): “questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo”. Capito perché l’abbiamo dimezzata questa frase? Non bastano le ragioni: troppo comodo trincerarsi dietro quella frase e poi nascondersi. Spiegarsi non significa solo dare delle ragioni ma mettersi nudi in fronte al mondo, prendere in mano quelle tre sillabe e giustificarle col sorriso, la dolcezza e la retta coscienza. L’invito è altissimo: “siate dei signori nella vostra battaglia della fede”. Usate l’eleganza, la signorilità, l’amabilità e la dolcezza se volete che il mondo vi creda. E creda anche a quella frase usurata dal tempo e dal malcostume: “Dio c’è”. L’hanno tranciata nei pulpiti delle chiese: eppure mai come oggi suonerebbe puntuale, pungente e provocante. La retta coscienza!
Invito tutti oggi a messa a seguire l’omelia del parroco, fosse pure un altissimo rappresentante dell’istituzione Chiesa. Aspettatelo sulla soglia di quel versetto della lettera di Pietro, armatevi di santa pazienza e scrutatene il volto. Stavolta non può sottrarsi alla cattura. Perché oggi non basta dire “Dio c’è”: vogliamo sentircelo dire senza parole. Altrimenti che differenza c’è tra il pulpito e il bagno dell’Autogrill di Badia al Pino?
Cercasi disperatamente risposta a tale bisogno.

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