cosaTappati, tarpati e impauriti dentro una stanza nel mercato di Gerusalemme: bell’esempio di fiducia! I discepoli sono aggomitolati in una coperta di delusione e di amarezza: altra gloria avevano immaginato le loro menti. Quella croce rimane per loro l’emblema di un sogno gigantesco andato in frantumi. Oggi non credono per troppa gioia: triste a dirsi ma alla gioia spesso si stenta a credere. Allora il paziente Gesù – entrato attraverso la porta sprangata del cenacolo/tana – avanza a passi decisi verso di loro, i palmi delle mani bene aperti: “Palpatemi; sono proprio io”. E si denuda: offre a tutti quanti anche la visione della quinta ferita. Ma ancora stentavano a credere ed erano stupefatti: buffi discepoli, perchè non volete credere? Proviamo da un’altra parte, Gesù. Forza, parliamo di cibo: “Avete qui qualcosa da mangiare?”. Gli portano del pesce arrosto, il favo di miele. Lo scrutano attoniti, gli scrutano la bocca che mastica, la gola che inghiotte il cibo di cui poco fa hanno guardato il sapore. Guarda come lo spiano, perchè nessuno ha il coraggio di parlare? Non si aspettavano quella vittoria sulla morte. Non si aspettavano che tornasse a cercarli. Non si aspettavano che dopo averLo abbandonato e tradito Lui tornasse per portare Pace.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». (Vangelo di Giovanni cap. 20 vv. 19-31)

“Pace a voi”. Ma sono cuori che, nel subbuglio misto di spavento, gioia e incredulità, sono tanto lontani dalla pace. Li rimprovera perché non hanno creduto alle sue parole. E s’avvera un piccolo miracolo: germoglia qualche sorriso. Sono un po’ meno lontani dalla pace, perché un fantasma non li sgriderebbe con così tanto amore. Perché, soffiando magari sulle loro facce, ha fatto entrare un sentimento nuovo, potente e folle. D’ora in poi li vedremo correre aggrappati a meridiani e paralleli sui sentieri dell’umano per raccontare la gioia di quel Risorto: ma senza lo Spirito alitato su di loro, nulla avrebbero potuto. Sarebbero rimasti una ciurma di illusi frustrati. Altro che cantori della fede!

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Peccato ne mancasse uno. Dobbiamo ricominciare daccapo, Gesù perchè manca Tommaso. Ultimamente questa ciurma non concede mai il “tutto esaurito”. Gesù s’era accorto. Proprio quel Tommaso che, al suo rientro, esclama: “Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non metto il mio dito nella piaga dei chiodi e la mia mano nel costato, non credo”. Cristosanto (è proprio il caso di dirlo)! Eppure Tommaso non se lo ricordava scettico e tanto meno incredulo. Voleva solo vederci chiaro. Tanto chiaro che gli occhi non gli bastavano. Pretendeva le mani. Evvai Gesù, ripartiamo. Ritorna (a Lui piace sempre aggiungere ai verbi la particella -ri) e va a trovare proprio quell’uno: “Metti qui il tuo dito nel mio costato”. Guarda lì, quel dito incredulo che s’inabissa nella ferita di dolore è più penoso della lancia del soldato in quel giorno ormai lontano. Però non tocca: voleva toccare ma di fatto non tocca. Seppe arrestarsi alle soglie del suo folle realismo. Cadde in ginocchio, alle frontiere luminose di quegli spazio che non ebbe più il coraggio di manipolare. Beato Tommaso di Palestina. A scuola c’insegnano che il dubbio è cultura, l’incredulità virtù, la diffidenza sistema. E noi siamo arrivati ad introdurre nella nostra vita solo ciò che passa attraverso la goduria dei nostri palpeggiamenti.
Tommaso Lo Spensierato. Come la Bellezza di Nazareth che a vent’anni s’annodava alle braccia di Giuseppe per attraversare le campagne di Nazareth. Come i bambini di Genesaret che dopo lunghe rincorse sui prati si abbandonano all’erba di primavera. Come i gabbiani che si consegnano alle ali del vento. “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”: e Lui è già sparito.
Non occorre fede per credere alla morte: occorre fede per credere alla sconfitta della morte. Altrimenti saremo solo dei buffi imbecilli con un dito sistemato dentro una ferita e gli occhi bassi di vergogna.

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