A giudicare dalle chiese che si svuotano e dalle piazze che si riempiono, si direbbe che parlare di Dio oggi non sia poi così affascinante come alcuni ci vogliono far credere. Eppure la chiesa di San Pietro di Trissino faticava a contenere le persone ivi accorse per lasciarsi provocare dalla voce della teologia. Dopo cena, come sostitutivo di Muccino – Moretti – Raoul Bova, la voce di Luigi Accattoli, Severino Dianich, Franco Mosconi e Luigi Bettazzi. Anche se oggi quando dici teologo molti capiscono biologo, enologo, etnologo. Quel prefisso iniziale sembra incomprensibile o per lo meno inusuale, rende il teologo una persona “strana”, misteriosa, perditempo. Ed effettivamente strana lo è. Perché la teologia stessa è un discorso strano, scomodo, spinoso. Essere teologi significa immettere – con un pizzico di follia tutta evangelica – una dose di stranezza nei circuiti dell’umano ragionamento. Una stravaganza che fa pensare, che provoca, scuote, apre l’orizzonte del pensiero. Costringe ad alzare gli occhi verso l’alto, scavare nei bassifondi della vita per riportare alla luce l’originaria bellezza, il primigenio profumo. Il teologo come il minatore alla ricerca dell’oro: nascosto dentro la terra, riporta alla luce una pepita da smussare, ripulire, far risplendere. Come l’esploratore: condannato a correre avanti per visionare i nuovi paesaggi e conoscerne abitanti, usi e costumi.
Avanza per servire un popolo che sta arrivando.
Una teologia che oggi vive una sorta di diaspora dentro la piazza della modernità, attrice e spettatrice di un esodo simile a quello narrato nei primi libri della Scrittura Sacra. Eppure essa non è solo un discorso su Dio ma è il tentativo di illuminare il mistero racchiuso nell’uomo. Teologia bandita ai margini al tramonto di un secolo che ha visto la follia umana salire al potere: il dramma delle torture, il fumo dei forni crematori, l’olio sui cannoni. Come poter ancora parlare di Dio dopo Auschiwtz? Ma anche dopo il genocidio dei Balcani, le torture in Somalia, la guerra nascosta del Burundi? Eppure la teologia è dinamismo e sorpresa, attualità disarmante e presenza scomoda, pungolo e speranza. La teologia è una donna che corre e avanza, scappa, ammalia e distrae, illumina, oscura e rivela il Mistero di un Dio dalla dinamicità inesausta. La teologia vive di paradossi perché nasce nel paradosso: riconosce come padre e madre una nuda Croce e un sepolcro spalancato.
Teologia. Ovvero: la stranezza che infastidisce la normalità.

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