E’ nelle sale "Scusa ma ti chiamo amore", l’ultimo
film tratto dal romanzo di Federico Moccia, lo scrittore che lanciò l’idea di
vivere "tre metri sopra il cielo". E’ dell’altro giorno la notizia che i leader
di Hamas, il partito estremista palestinese, vivono sotto terra. A Roma, da tre
giorni, un manipolo di aspiranti show-man vive schedato nella baraccopoli del
Grande Fratello.
Sopra il cielo. Sotto
terra. Fuori dalla terra!
Mi potete dire se
c’è ancora qualcuno sulla terra, per favore?
Domenica scorsa l’arrugginita campana del Covolo di
Lusiana ha suonato per tre volte una nenia malinconica. E’ la campana del
transito, segno che qualcuno ha terminato la sua vita. Sull’uscio delle
porte di quell’antica contrada il bisbiglio delle donne lasciava poco spazio
alla fantasia: lassù tutti si conoscono e tutti si senton parte di un’unica
famiglia. All’udir quel suono grave, anche gli uomini stentavano nel trovar
parole. Un clima di mestizia avvolgeva la familiarità di quel borgo di
montagna. La notte avea raccolto e portato nel suo grembo il loro prete, don
Antonio Pasin. Un vecchio curato di montagna che il Manzoni avrebbe certamente
riverito e non avrebbe esitato a incastonare in qualche bozzetto dei suoi Promessi
Sposi. Settanta primavere ben sistemate sulle spalle, classe 1929, occhi
stanchi ma che a guardarli t’impietrivano, quattro ossa che, per un miracolo
della Natura, riuscivano a rimanere composte, capelli ben nascosti sotto il suo
berretto di grossa lana, mente appuntita e affilata durante le lunghe veglie
notturne, un viso scavato da mille rughe e…un cuore immenso come il suo mondo
selvaggio. Vita anonima: 27 anni di sacerdozio spesi in due contrade di
montagna: un pugno di case, dialoghi, sorrisi e tenerezze. Un bicchiere di vino
rosso come firma di un’amicizia. E nel sorriso più credibilità di tutti i
trattati di teologia impolverati nelle biblioteche.
Lo diceva Lorenzo Milani, il priore di Barbiana: "La grandezza di una vita non si misura
dalla grandezza del luogo in cui s’è vissuti, ma da ben altre cose".
Mi piacerebbe sistemare sulla nuda terra che
custodisce le sue spoglie mortali una piccola pietra con scolpito: "Antonio,
sacerdote 1929 – 2007. Cantore della vita". E accanto alla lapide un ulivo.
Perché, seppur vacillante nei movimenti, s’intestardiva
a piantare ulivi con la speranza di vederli un mattino fiorire.
Scusami, ma lo chiamo uomo!