(pp. 14-20)
Un giovane prete visita il carcere dove è rinchiuso Giulio Schiacciasassi, e assiste a un quotidiano “sterminio dei pensieri”.

Filò letterario (a cura dell’autore)

Dipende da come lo guardi. E’ un mondo in bianco e nero se quello è un bosco frequentato da lupi e delinquenti; è un paese abitato e coi muri pieni di graffiti colorati se dentro quei lupi accetti di sentire le “prove dei canti” che qualcuno di loro sta intonando. In attesa dell’esibizione che, forse, arriverà fra centinaia e centinaia di giorni. E’ il mondo del carcere: dietro le sbarre c’è un mondo a due facce.

Per l’Ispettore di Polizia Penitenziaria (guai a chiamarlo secondino come ci aveva insegnato Silvio Pellico) Giulio è un delinquente e un assassino: la sua biografia colora di bianco e di nero e l’alfabeto della forza è quello che più s’addice ad una bestia come lui. Per don Ernesto, invece, dentro quell’assassino c’è una “primavera in corso”: quel ramo di ciliegio che accenderà la loro immaginazione è annuncio di una risurrezione che nel freddo dell’inverno può vedere solo chi s’affaccia sul ciglio dell’abisso di quelle anime e accetta di scenderci dentro. Laddove morte e vita, dramma e follia stanno lottando per non cedere la priorità acquisita. Per Giulio Schiacciasassi il giovane prete non invoca all’Ispettore un’amnistia speciale: allo sbaglio deve seguire il giusto risarcimento. Chiede semplicemente di non uccidere quella primavera che s’è accesa in quasi trent’anni nel fondo dell’anima.

Il palcoscenico del carcere mi era familiare: adesso è diventato la mia parrocchia. Scrivere un romanzo è davvero anticipare la storia il più delle volte. Eppure dietro quel Giulio Schiacciasassi c’è per davvero un volto amico. Un uomo dai capelli bianchi che un giorno da bambino mi ha raccontato come si possa parlare di speranza in quegli anfratti misteriosi e famigerati delle carceri italiane.

Alfredo Bonazzi per tanti è ancora la Belva di Viale Zara a Milano (3 aprile 1960). Oggi porta sulle spalle 82 primavere. A raccontare la sua storia non si sa da dove iniziare, tanto è complessa. Qualche dato: un’infanzia che dire “difficile” è dire un eufemismo, trent’anni di carcere (cinque di riformatorio, ventiquattro e rotti di carcere, uno di manicomio criminale) che adesso lo portano ad una vita frenetica perché – come dice lui – “sono stato fermo per troppi anni, con vitto e alloggio assicurato dallo Stato”. Premi letterari vinti a decine. Uno su tutti: nel 1971 a “I Pegasi” di Tarquinia arriva in finale con Eugenio Montale e vince il premio per acclamazione di pubblico. Celebre nel cuore di Alfredo l’intervista concessa dall’autore di “Ossi di seppia” quando disse: “Bonazzi sarà un grande poeta come è stato un grande delinquente”. Un personaggio, Alfredo, che non ha mai accettato il ruolo di personaggio. Se tu lo guardi vedi che non è un poeta dall’aria trasognata. Il suo sguardo, il suo piglio, i suoi gesti hanno conservato qualcosa di tagliente. Come se la potenza del suo spirito non sia mai svanita negli anni ma abbia cambiato direzione: da positiva a negativa.

Un giorno gli chiesero cos’è per te la speranza. E lui ebbe ad usare l’ennesimo paradosso: “la speranza nasce dal fondo dell’abisso. Se io sono disperato, condannato, specialmente se sono ergastolano e so che la mia data di liberazione è il “mai”, ecco che può venire fuori tutta la bellezza e la potenza dell’uomo. In quel momento sei senza futuro, eppure senti che un futuro in qualche modo te lo devi inventare. E’ un controsenso, si intende. Però basta che dal fondo intuisca uno spiraglio, perché ce la possa fare. Anche se sarà doloroso arrivare fino in cima. Ma so che la luce esiste. So che si può. In carcere ci si addormenta con mille interrogativi, qualche giorno ci si può anche svegliare con una risposta”.

Sul davanzale ferroso di una cella di galera, stamattina un pettirosso ha iniziato a cinguettare alle cinque e mezza: per una volta non è stato l’ispettore – armato di manganello e dal viso scuro – a dare il buon giorno ai lupi della cella.

Ci sono certe mattine che in carcere la primavera tiene un profumo inaspettato.

21.09.11_II_disegno

“Giulio Schiacciasassi”  – Disegno di Beatrice Costa, Romano d’Ezzelino (VI)


PROPOSTE DI RIFLESSIONE

  1. Prova a descrivere, anche dopo averne discusso con i compagni, quali sono gli obiettivi che un carcere deve raggiungere.
  2. In questo capitolo si scontrano due visioni opposte della persona: quella del secondino e quella di don Ernesto. Quali sono i sentimenti che animano i due personaggi?
  3. Con l’aiuto dell’insegnante di italiano, fate una ricerca sulla situazione nelle carceri italiane, sulla vita all’interno di esse, proponendo anche migliorie secondo voi attuabili.

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