muccaI bambini di città salgono per vederti al pascolo lassù sui monti, all’ombra di quelle malghe che raccontano di vecchi aneddoti, custodiscono segreti elisir e tramandano vecchie tradizioni. Salgono lassù perchè nel vociare confuso ed elegante della città il muggito di una mucca non è bene accetto dagli uomini in smoking e cravatta. A patto che il tuo passeggiare goffo e rumoroso non faccia alimentare le casse dell’amministrazione, come una starlette delle migliori scuderie: allora per una transumanza fatta bene ti si perdona anche un bisogno odoroso lasciato in calce all’asfalto. Capita pure t’imbattersi – ed è giusto che tu lo sappia – in uomini che, pur leccandosi la punta del naso dopo aver bevuto un cappuccino fatto col tuo latte, profanano il tuo nome per offendersi tra di loro: “grassa come una vacca, brutta come una vacca, sporca come una vacca”. Come dicono lassù i tuoi pastori-condottieri: “il sole devi prenderlo quando viene e la gente così com’è”. Rimane attestato il fatto che quando vogliono parlare di cose semplici, genuine e di casa nostra pure le pubblicità vengono a bussare alla porta della tua stalla: perchè una mucca è sempre un’immagine sana e familiare. Che dietro al latte riaccende la poesia e la sicurezza di un mondo che gli uomini troppo presto hanno cancellato. Senz’essere capaci di produrne uno dallo stile altrettanto convincente.
Le malghe attorno alle quali abiti – e che anche grazie a te hanno fatto fortuna, avuto visibilità e scritto pagine di letteratura mondiale – sono come pozzi nel deserto, che d’estate è impossibile trovare senza nessuno seduto attorno. Perchè l’uomo di città – pur usando il tuo nome per prendersi beffa delle amanti che non corrispondono ai suoi impulsi – ha capito che le mucche sanno scegliersi sempre i posti migliori per passare la stagione. Posti dove campeggia il silenzio dei pascoli, dove si respira l’aria pulita, dove i fuoristrada metallizzati arrancano come bambini alle prese con un triciclo. I loro bambini – e forse pure loro in persona – ti guardano, ti fotografano, ti toccano perchè quasi non credono che possa ancora esistere una vita all’aria aperta. Quaggiù dicono che se nella stalla mettono la musica classica, quella rock o quella metallara tu fai più latte. Ci credono davvero: ma io non ho mai visto mucca più bella e non ho mai gustato latte più sano di quello sgorgato da un petto rigoglioso di una mucca d’alta quota. Persino i monaci hanno attinto al tuo vocabolario. Parlando della meditazione, prendono a prestito il verbo “ruminare” (lett. “rimasticare il cibo già inghiottito”) per dire come la Parola di Dio vada mangiata e poi continuamente rimasticata per poter essere compresa: anche l’altissima spiritualità chiede aiuto alla tua grammatica. Si mangia di giorno e si rumina di notte: per far tesoro di tutto ciò che i pascoli – reali e immaginari – fanno trovare lungo il sentiero.
Le politiche agricole ti suonano sfavorevoli ultimamente: sul tuo latte s’accendono fervidi dibattiti. E partono scariche di letame dai trattori dei tuoi padroni. Eppure c’è una politica che ti vorrebbe valorizzare, fino a fare della tua dimora il palcoscenico di un mondo fittizio a te incomprensibile. Ma non ti arrabbiare, perchè non l’abbiamo inventato noi il gossip. E’ che “tutti vanno dietro al gossip e quindi il gossip va bene anche a noi”. Come vedi, sorella mucca, ci sarebbe bisogno di un po’ di ruminazione in più per correggere questa visione distorta del fare politiche che alimentino il turismo. Perchè qualcuno t’avrà pure detto – usando parole non sue – che giù in paese “i moralisti hanno chiuso i bar”. Dimenticandosi di aggiungere, però, che nella “bottega dello stile” non hanno ancora appeso la scritta svendita totale.

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