danilodilucaTi ho stretto la mano quando sul tuo collo pesava il cappio di una dura condanna sportiva, con annessa la responsabilità d’aver macchiato uno sport ch’è da secoli la metafora più bella della vita. L’ho fatto perchè la teologia m’insegna che l’errore va condannato ma l’errante va perdonato. Perdonato con il debito di una penitenza da scontare: capitalizzare l’errore fatto e trasformarlo in occasione di crescita per coloro che di un campione ne fanno un idolo.
Hai messo la firma sul tuo contratto davanti ad un teatro gremito di studenti: la loro fiducia e la loro giovane simpatia – che stavolta tu non tradirai – sono il primo accredito che trovi sul tuo cammino di riconquista della credibilità. Lo sport è rimasto uno degli ultimi alfabeti tramite i quali far breccia nel cuore dei giovani: truccarne la grammatica significherebbe precludere per sempre la speranza di riuscire a raccontare la bellezza di diventare protagonisti di una vita all’altezza dei nostri sogni.
Ti ho stretto la mano all’ombra di una condanna, ora ti abbraccio alla luce del sole come per un fratello ch’è tornato finalmente a sorridere. Perchè conosco che dietro quel sorriso scanzonato e giovane ci sta l’abbozzo di un progetto per ridare ai giovani ciò che un tuo gesto ha loro tolto: la certezza che nella vita senza la fatica si fa fatica ad addormentarsi la sera.
Buon viaggio, campione: assieme ce la faremo!

(da La Gazzetta dello Sport, 6 febbraio 2011, p. 25)

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