Quarta Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
(Dal Vangelo di Matteo cap. 5 vv 1-12a)
Napoleone aveva i suoi marescialli, Arturo i suoi pari, Carlo Magno i suoi paladini, Davide i suoi ghibborim, Agamennone i suoi eroi. In ogni tempo s’alza un fuoco se c’è una mano che s’arrischia d’accenderlo. Anche per Cristo fu così: tra i popolani della Galilea domenica scorsa andò a stanare i suoi apostoli. Da questi pescatori – morti nel silenzio di Cafarnao senza che nessun’anima battesse ciglio in loro memoria – estrasse dei santi che ancora oggi gli uomini rammentano e pregano: nei capitelli, sul fondo del sentiero, sulla nicchia della cattedrale, sull’oro di una croce. Un grandissimo non può che creare gente grande: da un popolo addormentato Lui trae gli svegliatori, da un popolo ammollito fa nascere splendidi guerrieri, da un popolo ignorante scova maestri geniali.
Dall’acqua del lago alla cima di un colle. Poco oltre – lungo il crinale del monte Carmelo – anni prima Elia si prese gioco degli sguatteri di Baal. Oggi la gente, seduta a frotte sul ciglio delle sue labbra, Gli pone la domanda più umana che uomo conosca. Lo sentono parlare del Cielo, del Regno, del Padre: un principio di pianto nasce nell’arsura della loro gola. E gli sbattono addosso il prevedibile: “di chi sarà tutta questa gioia?” Come risposta nacque la Magna Charta del cristianesimo, quella che lo scrittore Papini definì il “peristilio fulgido di fulgore”. E che tanta speranza infonde oggi nel cuore di chi porta dolorosa coscienza della sua povertà spirituale (“beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli”), di chi non si rivolta al cattivo ma lo vince con la sua dolcezza (“beati i miti, perchè avranno in eredità la terra”), di quelli che provano schifo di sè e pietà per il mondo e con le loro lacrime affrettano la conversione (“beati quelli che sono nel pianto, perchè saranno consolati”), di chi patisce e anela ad una voglia matta di giustizia e di equità (“beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perchè saranno saziati”), di chi darà soccorso trovando in credito soccorso a tempo debito (“beati i misericordiosi, perchè troveranno misericordia”), di chi non tiene altro desiderio che quello della perfezione, pur cittadino di un mondo imperfetto (“beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio”), di chi è facitore e costruttore di concordia (“beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio”), di chi avrà il coraggio di battagliare contro quell’ingordo di Satana e dei suoi seguaci, accettando d’essere torturati nel corpo, cruciati nell’anima e privati della libertà fino al furto dell’intera vita (“beati i perseguitati per causa della giustizia, perchè di essi è il regno dei cieli”). Una carriera promettente quella del Nazareno.
Ma, esagerazione delle esagerazioni, quel Regno di cui tanta nostalgia s’accende nell’animo del popolo che ascolta, sarà di coloro che metteranno in conto l’insulto e la calunnia (“beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”). Non saranno imbecilli ma diventeranno automaticamente beati: il mondo non si contenterà di condannarli perchè hanno tentato l’impresa di trasformare gli uomini-bestie in uomini-angeli. Ma, sdraiati nel lordume puzzolente della loro animalità, non vorranno saperne di uscire a nessun prezzo. La loro cattiveria – nell’alfabeto paradossale del Maestro appena giunto alla vita pubblica – sarà la consacrazione della loro bontà d’animo. Fino a scoprire che il fango e il sudiciume riversato loro addosso altro non sarà che il pegno di una purezza che ancora infastidisce l’animale. Cristo è un formidabile ottimista.
Tutti i profeti che parlarono sulla terra furono insultati dagli uomini; lo stesso accadrà a quelli che verranno. Proprio a questo si riconoscono i profeti: quando, impilaccherati di fango e coperti di vergogna, passano tra gli uomini, lieti in viso, seguitando a dire ciò che detta il cuore. Non basta il fango per chiudere i labbri di quelli che devon parlare. Anche se l’ostinato importuno sarà ucciso non potranno ridurlo al silenzio perchè la sua voce, moltiplicata dalle risonanze della morte, si udrà in tutte le lingue e per tutti i secoli.
(G. Papini, Storia di Cristo, Vallecchi Editore)
Punto e a capo: questo è l’indirizzo di casa degli abitanti domiciliati Lassù. Con tale promessa – lungi dall’essere consolatoria – tramontano le Beatitudini. E anche una delle prime giornate lavorative del Rabbì falegname-predicatore. Le cose sono messe in chiaro così da avvertire i dubbiosi e confortare i pericolanti. Si tratta solamente di capire se anche oggi – circondati a destra e a manca da nuovi sguatteri di Baal – ciò che quaggiù si definisce imbecille nella grammatica di Lassù viene reso con beato. Se fosse così è già chiaro all’inizio perchè ad un Uomo di tale levatura l’uomo di basso spessore non poteva che farGli trovare una Croce.
Una Croce beata.