Una frase simile dovrebbe far pensare a un giocatore ormai consunto dall’esperienza sul campo che, dopo anni, decide di appendere le scarpette al chiodo. Così non è. Occhi più grandi dei suoi otto anni, sguardo intelligente, sveglio, fiero. Gli domandi perché. E tu rimani allibito.
E lo stupore non nasce dal fatto che lui non giochi più, ma dalle idee che alcuni hanno sui bambini, sui loro gusti, sulle loro necessità. Sempre che ne abbiano qualcuna.
Con piglio protagonista, senz’accorgersi di come suonino strane e inopportune, su quelle labbra bambine, espressioni professionali e forbite da sportivo consumato, ti spiega: «Mi facevano fare solo preparazione atletica, non giocavo mai, né partite né partitelle. Quindi non mi divertivo. Adesso faccio pallanuoto». Logica essenziale e sopraffina, nella sua semplicità. Non mi divertivo. Quindi ho smesso; o, meglio, ho cambiato. Dimostra più intelligenza lui, nei suoi 8 anni, di tanti educatori poco agganciati con la realtà.
Perché la sua frase denuncia un sogno infranto, un volo spezzato, un’incapacità di leggere nei suoi occhi bambini un’insoddisfazione. Ha 8 anni, vuole divertirsi. Ha 8 anni e il suo bisogno primario è giocare. Non pensa certo alla preparazione atletica!
Va bene curare l’allenamento, per prevenire infortuni, ma non bisogna dimenticare che, quando l’età con cui siamo in contatto è tanto bassa, l’aspetto educativo prende, necessariamente, il sopravvento. Per il bambino, il gioco è tutto, o quasi. È socializzazione, è educazione, è apprendimento, è presa di coscienza di sé, è formazione del carattere, è comunicazione: è crescita corporea, psichica, emotiva e spirituale.
E lo sport, beninteso, è una molla potentissima che favorisce la crescita integrale della persona, unita alla conoscenza di sé, nella socializzazione con l’altro (avversario, compagno di squadra, giudice di gara, arbitro, allenatore, preparatore). Ma è importantissimo il motivo per cui ci si avvicina allo sport (per i piccoli atleti) e la motivazione che spinge allenatori e preparatori a prendersi cura della crescita di questi ragazzi.
Nello sport, e purtroppo non solo in questo campo, spesso s’avanza il fronte di coloro che, con l’alibi di pensare al bene di questi ragazzi, sfoga su questi ultimi desideri repressi e aspirazioni disilluse. Dimenticando, per lo più, che nessun sogno può essere “trasfuso” da una persona all’altra, senza la perdita della sua potenziale dinamicità, che resta ancorata alla persona che porta avanti quel sogno. Quei sogni, appiccicati con un nastro adesivo piuttosto consunto su figli sovrastati da aspettative genitoriali spropositate, diventano macigni che tarpano le loro ali e impediscono lo svolgersi dei loro veri sogni.
Piccoli calciatori che, agli occhi di genitori e allenatori, sono considerati i nuovi Ronaldo, piccoli musicisti (magari anche promettenti) che prendono le sembianze di novelli Mozart… e figli tristi, che rincorrono palloni che non profumano più di divertimento e si rinchiudono a studiare pezzi che accontentino le smanie di protagonismo dei grandi.
Eppure sono proprio loro, con il loro sguardo e con le loro parole immediate e ficcanti che, se ci mettiamo in loro ascolto, ci spiegano i nostri errori. I ragazzi devono provare gusto nelle cose che fanno. E non solo loro. È questo il segreto che fa riuscire bene ogni progetto: quando impegno e passione si affiancano al divertimento! E allora, prima ancora di pensare a rendere più divertente il lavoro, rinunciamo a “professionalizzare” in modo eccessivo e inadatto alla loro età le attività sportive ed extrascolastiche dei nostri ragazzi.
Se c’è la passione e se ci provano gusto, saranno essi stessi a domandarci di proseguire, saranno i primi a dedicarvi la totalità del loro tempo libero, a investirvi i loro risparmi, la loro fantasia, la loro voglia di fare perché – soltanto allora – quei passatempi torneranno a profumare di sogni e libertà.
Perché è giusto pensare al loro futuro. Doveroso garantire la loro istruzione e formazione, sotto ogni aspetto.
Ma non dimentichiamo che hanno anche un presente da vivere. Fatto – innanzitutto – di gioco!