Questo Natale ho avuto una fortuna straordinaria, che pochi possono vantare. Un pranzo di Natale unico e speciale. Con degli ospiti di riguardo. No, non quelli che state pensando voi.
Una tavola imbandita, con una ricchezza in più: le mani di chi l’ha prodotta, insieme con tutta la sua sapienza. Sì, perché? Si scandalizzino i cervelli sopraffini che siedono dietro maestose cattedre universitarie, ma non è forse cultura anche questa?
Sinceramente, io non saprei ricavare una ricotta dal latte fornitomi in natura. Né, del resto, sarei in grado di mungere una mucca. Né preparare olive squisite. Non sarei capace di coltivare un orto, di portare al pascolo una mandria di mucche, conoscendo quale sia il periodo in cui portarla all’alpeggio e quello in cui farle effettuare il percorso inverso. In questi compiti non mi sarebbe d’aiuto Kant, né lo sarebbero Kierkegaard, Tommaso d’Aquino o Schopenauer. E, lo so, mi duole persino il pensarlo, neppure il buon Fedor che mi illuminò l’esistenza coi suoi Karamazov potrà mai trasferirmi questa preziosa e delicata conoscenza, che s’affaccia sul creato e sa conoscerne tempi, modi e luoghi per sfruttarne al meglio le potenzialità che deliziano il palato dell’uomo. Eh sì, in tanti ci affolliamo in costosi ristoranti, oppure ne sogniamo i menù ad occhi aperti, pensando che non possa esistere nulla di più gustoso sulla faccia della terra. Ma continuiamo a non ricostruire quale sia l’origine di queste sfarzose prelibatezze. Ed è, il più delle volte, una nascita di origini umili, di semplicità inaudita.
Ci sono piccoli paesi pittoreschi, nelle nostre valli, che ammiriamo distrattamente, passandoci in automobile e bollandoli magari, semplicisticamente, come “scenari da presepe”. Sì, certo, lo sono, ci mancherebbe, ma sono anche qualcosa di più. Conservano il profumo della tradizione, la forza di una microeconomia fatta di volti noti e piccoli commercianti di fiducia, di porte sempre aperte anche durante le festività, di mani abituate a lavorare la terra, di occhi capaci di scrutare il cielo per carpirne i segreti.
Basta addentrarsi appena e, proprio nel centro del paese, puoi trovare una stalla con una o due mucche. Non di più, ma quel tanto che basta per far provare a famiglia ed amici i sapori che le nostre campagne ancora sanno produrre e che sappiamo gustare solo dopo esserci sciacquati la bocca dai nostri cibi da discount che sanno di plastica.
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A volte, s’avverte, più stridente del solito, il contrasto tra cittadini e montanari, per il solo vedersi faccia a faccia, portandosi dietro, ciascuno, le proprie diffidenze, divergenze, diversità, chiusure reciproche. Salvo poi, con un sorriso, stemperare la tensione e rendersi conto che ciò che ci lega è più di quello che ci divide: la realtà ci proclama che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che nella diversità risiede la ricchezza collettiva. E ritrovarsi, infine, a rincorrersi con le parole delle strofe della canzone “Il contadino”, vincitrice dell’ultima edizione dello Zecchino d’Oro. Quasi a suggerire che, considerando la musica un’arte, essa non fa che riconoscersi, a propria volta, in ciò che contiene, richiama ed esalta la bellezza. La bellezza chiama l’arte a dipingerla e l’arte non fa che rispecchiarsi e riproporre l’altrui bellezza, per ritrovarsi.
Studenti scendono in piazza a protestare contro una riforma. E devastano una città.
Nessuno che si domandi che fine abbia fatto un patrimonio di inestimabile valore che resta, ingiustamente, sconosciuto ai più.
Ci sono secoli e millenni di cultura contadina, che si nasconde, solo per l’umiltà che è dote di chi è grande ma non lo sa, dentro i nostri paesi delle nostre vallate. E lì resta, con orgoglio, ad attendere di essere scoperta, appresa e amata da uomini di buona volontà. Forse, questo patrimonio non approderà mai sui libri di scuola, a far compagnia a Napoleone Bonaparte, Giulio Cesare, Aristotele, Platone e Galileo Galilei. Ma non sarà necessariamente un male. L’arte vera non teme il nascondimento e sa svelarsi ai cuori che lo ricercano. E allora, sarà come un’alba, sarà come una grande Epifania (manifestazione, appunto) di una ricchezza inestimabile.