In una
vecchia mulattiera costruita in tempo di guerra, una scolaresca di bambini
piccoli attende con trepidante stupore il passaggio della transumanza.
Campanacci e vecchi costumi, vacche e cavalli, muli e cani fedeli ai loro
padroni. Sui volti dei malgari
profumo di latte, odore di fieno, un’estate di viaggi nei loro passi. Osservo
da distante questa ciurma di bambini festanti e penso a quanto poco basti per
creare un clima di festa. Dalla piana di Marchesina verso la pianura padana in
cerca di climi più favorevoli per traghettare l’inverno.
Dita puntate,
flash nelle loro macchinette, urla scomposte: lo stupore si fa strada nel
vedere quest’antica liturgia che si snoda ancor oggi nelle nostre strade di
montagna. T’inquieta quella sorpresa dipinta nei volti dei bambini. "Solo se riusciremo a farci veramente
piccoli, si risveglierà in noi il fiuto per le cose grandi, e solo acquisendo
questo fiuto saremo capaci di meravigliarci. Ma la meraviglia è il superamento
dell’ovvietà"
(M. Heidegger). Le cose grandi: che poi sono le più piccole.
Liberate dall’abitudine di cui le abbiamo rivestite!
Forse solo
i bambini hanno libero accesso nel mercato della bellezza e della meraviglia.
Aveva ragione il Piccolo Principe: ai grandi non puoi dire che una cosa è bella, devi dire loro quanto vale. Altrimenti non intendono.
Smarrire
la passione per lo stupore – affermando che questa passione è solo perdita di
tempo perché non monetizzabile – è una scelta rischiosa perché significa
abbandonare l’uomo da solo in balia dell’abitudine. E sposare l’abitudine –
prendendo a prestito parole di Peguy – significa pagare una morte a rate!
Quando invece l’uomo avrebbe l’occasione di risorgere tutti i giorni, di far
ardere la storia e di lasciarsi ardere dalla storia.
Un pugno
di bambini si stupiscono di campanacci che risuonano nella vallata: l’uomo
fatica a lasciarsi conquistare dalla bellezza intera. Forse che la modernità
non possiede più un suo entusiasmo?
Converrebbe
pure a noi, al pari degli animali, intraprendere una transumanza, cioè trasferire la nostra residenza. Spostarci: da una
terra che ci vorrebbe vagabondi – perché annusiamo il suo profumo inospitale –
verso una terra promessa che sappia darci la possibilità di attendere e di
sperare. Cioè di saperci incantare di fronte alla vita.
Come
quella ciurma di bambini sulla mulattiera di Marcesina.

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