Peppone e don Camillo di corsa a New York
Don Marco Pozza, prete maratoneta, al fianco di un amico giornalista, al via domenica tra i 3500 italiani nella gara podistica più prestigiosa al mondo
Articolo di Massimiliano Castellani tratto da AVVENIRE, pag. 30, del 5 novembre 2010
Don Camillo e Peppone sono in volo verso la Grande Mela, pronti a scattare, di corsa, per i fantastici 42 chilometri e 195 metri che vanno dal Ponte Giovanni da Verrazzano a Central Park. Chi l’avrebbe mai detto che, nel 2010 sarebbero arrivati a correre alla Maratona di New York?
Sveliamo l’arcano. Don Camillo al secolo è don Marco Pozza, 30enne, vicentino di Calvene, un passato recente, a Padova, dove curava l’evangelizzazione di strada al servizio dei tanti giovani, e non, caduti nel tunnel dell’alcolismo.
«Per loro io ero e sono ancora ‘don Spritz’», dice ridendo. Peppone invece, è Manlio Gasparotto, 44 anni, milanese, giornalista della “Gazzetta dello Sport”. «Manlio è la forza della volontà – dice don Marco – , si sentiva un ‘ciccione’ con i suoi 90 chili e passa e un giorno ha deciso di buttarli giù, puntando dritto a New York. Ce l’ha fatta, anzi ce l’abbiamo fatta…». Un incontro casuale il loro, una pizza a Milano, in via Solferino, e la voglia di unire la passione per la corsa.
«Abbiamo capito che dovevamo fare un tratto di strada insieme per portare un messaggio importante a tutti quelli che ancora non hanno trovato un motivo per mettersi in gioco». Via la tonaca e con canottiera, calzoncini e scarpe da ginnastica, don Marco con il suo inseparabile ‘Peppone’ Gasparotto, va alla conquista dell’America. «Mi sento un po’ come Al Pacino in “Ogni maledetta domenica” , quando fa il discorso alla squadra e usa la metafora del “conquistare un centimetro alla volta”. Ecco, credo che attraverso la maratona è come se togliessimo quotidianamente un centimetro alla volta all’inferno…». Un centimetro dopo l’altro, saranno in 3500 gli italiani che domenica proveranno ad arrivare al traguardo di New York. «Quello che mi affascina di questa maratona continua don Marco – è il grande senso di democrazia, perchè permette a tutti, perfino all’ultimo arrivato come il sottoscritto, di poter correre al fianco del primatista del mondo, l’etiope Heile Gebrselassie, che a quasi 40 anni non si ferma mai. Un autentico “santo” di questa disciplina stupenda e massacrante». Un piccolo martirio dello sport la maratona. «Sono convinto che le categorie dello sport si possono fondere con quelle della fede», sottolinea don Marco che, ogni settimana si allena correndo i suoi 140 km. Solca le strade di Roma, dove sta terminando il dottorato ‘creativo’ in Teologia Fondamentale, alla Pontificia Università Gregoriana.
«Villa Panfili è la mia palestra a cielo aperto, poi ne ho anche una virtuale, che è il sito https://www.sullastradadiemmaus.it, lì e sulle pagine de ‘La rivista del Clero’, alleno la mente con la scrittura». Una maratona filosofica segnata dal monito di San Paolo: ‘Corro perché conquistato’.
«La corsa è una forma di ascesi e l’atleta è il vero asceta della modernità. L’interrogativo annoso della nostra Pastorale recita: ‘Come comunicare la fede in un mondo che cambia?’ Io penso che la risposta stia proprio nel vivere lo sport come un momento di educazione peculiare. Il gesto sportivo diventa una ginnastica per l’Eterno». Una ginnastica collettiva, praticata oltre che dal suo sodale ‘Peppone’ anche da altri due amici molto speciali, i due Alex, Zanardi e Schwazer. «Zanardi sarà a New York con noi. Lui crede profondamente nell’ascesi dell’uomo moderno che si incarna nell’atleta. E ne è testimone diretto quando dice: ‘Non importa se ci riusciremo, quello che conta è averci provato».
C’ha provato e ha conquistato l’oro nella 50 km di marcia alle Olimpiadi di Pechino 2008, l’altro Alex, Schwazer, che don Marco, prima di volare per la Grande Mela, è andato a trovare nel suo rifugio di Vipiteno. «Era tanto che volevo conoscerlo e dirgli che il mio amore per la corsa e la maratona è cominciato proprio il giorno del suo trionfo olimpico, quando davanti a tutto il mondo disse una cosa che dentro di me ha fatto scattare una scintilla. Alla domanda: ‘Sei felice di aver vinto?’, Alex rispose: ‘Ho vinto perchè sono un uomo felice’. Solo se ti diverti e hai la gioia nel cuore puoi sopportare la fatica e il sacrificio nello sport. Quando ho salutato Schwazer ho visto nei suoi occhi che quella gioia gli è tornata, adesso sarà più forte di prima». È la profezia di don Marco, ‘conquistato’ come San Paolo e attratto dalla calamita dell’arrivo americano, prima tappa di una maratona che proseguirà fino a quella di Milano 2011. «Milano oltre alla maratona ufficiale ha anche quella meravigliosa ‘staffetta della carità’: atleti della domenica che si passano il testimone dopo aver versato la loro quota d’iscrizione che gli enti benefici utilizzano per finanziare progetti solidali. Il nostro intento è quello di incrementare il numero degli iscritti alla ‘staffetta della carità’ e per questo con Manlio andremo nelle scuole con un cortometraggio (sponsorizzato da ‘Gazzetta dello Sport’ e De Agostini scuola) che verrà realizzato al termine di questa nostra avventura. Poi metteremo in piedi dei laboratori sportivi all’interno degli Istituti, ovvero prepareremo culturalmente, prima che atleticamente, 5-10 ragazzi ad affrontare la Maratona di Milano».
Al ritorno da New York, don Marco avrà anche pronto il suo primo romanzo ambientato nel mondo dello sport giovanile. Ma il suo sogno adesso, oltre a «tagliare il traguardo di New York in 2 ore e 50 minuti», è quello di «poter stringere la mano al minatore cileno Edison che quando era laggiù, imprigionato con i suoi compagni nelle viscere della terra, correva 10 km al giorno per sfuggire alla disperazione e alla paura della morte». Una storia a lieto fine. Una storia di sport, di quelle che di corsa don Marco insegue tutti i giorni. Nella sua palestra virtuale annota: «La letteratura sportiva racconta splendide storie di campioni che affondano le loro radici nei campetti dell’oratorio, all’ombra dei campanili.
Risvegliare sul sagrato certe frequentazioni potrebbe aiutare qualsiasi curato ad avvicinare con meno timore chi, stanco e disaffezionato del Cielo, va cercando tracce di Dio nel vivere comune».
L’articolo di Marianna Pagliarin, tratto da “Il Mattino di Padova” del 5 novembre 2010
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