portaUn giorno anche Dio decise di fare carriera. E lo fece nel modo più strano e assurdo che la storia trattenga nelle sue viscere: “si fece carne” (Gv 1,14), ovverosia decise di farsi uomo. Perché da quel giorno quaggiù sulla terra s’accendesse la certezza più bella e intricata, quella che vale una vita intera di tentativi: l’uomo non può mai essere il quesito insolubile di nulla, ma rimarrà sempre e solo la soluzione di ogni problema. Un Dio che non ha scansato la fatica della storia, l’ignominia dell’indifferenza, l’apatia del paese, ma ha scelto di entrarci dentro per sporcarsi della faticosa meraviglia di diventare uomo. Eppure qualcosa gli andò storto se da quel giorno lontano – eppure ogni anno così drammaticamente vicino – l’uomo ha tentato di far carriera nella direzione opposta, mettendosi in testa di farsi Dio. Ma un Dio che decide di farsi uomo è occasione di speranza e di tripudio, mentre un uomo che decida di farsi Dio è motivo di angoscia e di disperazione. Eppure stupisce la pazienza del Creatore. Nell’anno appena salutato le abbiamo provate tutte per stancarlo: c’ha provato la politica con il suo giocare all’uomo, c’ha selvaggiamente provato una frangia di Chiesa giocando con i bambini, c’ha provato la società bandendo ogni suo simbolo dalle aule dove si forgia il sapere. Cosicché l’umano, anziché palestra per tentare la via della felicità, s’è trasformato in un vecchio labirinto dentro il quale l’unica gioia è quella di perdersi senza poi ritrovarsi.
Haiti rasa al suolo dal terremoto, fedeli da tutto il mondo inginocchiati davanti all’arca del Santo, la vittoria storica della riforma sanitaria di Barack Obama, il vulcano d’Islanda che scombussola il girovagare del mondo, gli attacchi a Kabul e i 13 ragazzi morti, lo storico mondiale di Nelson Mandela e del suo Sud Africa, l’avvento dell’Ipad, la passione di Muammar Gheddafi a Disneyland-Italia, la riforma storica epocale della scuola italiana, l’avventura a lieto fine di 70 minatori intrappolati nel sottosuolo cileno, la grande alluvione che ha devastato la laboriosa terra veneta, la sconfitta di Fini e dei suoi sogni di ricambio generazionale. Un lunghissimo album che fotografa lo sforzo dell’uomo di rendere migliore e più amabile la sua vita quaggiù. Ma che attesta anche l’incapacità dell’uomo stesso di gestire un patrimonio con l’umiltà della creatura. Dio ci prova con la tenerezza a convertire l’uomo all’umiltà: con la continua successione di albe e tramonti, di occasioni e di speranza, di nascite e di stagioni. Quando non ci riesce ci prova con l’umiliazione: di un’alluvione o di un terremoto, di un governo o di una chiesa, di una morte o di una ferita. Non per passione di morte, ma per ricordare all’uomo la sua posizione di creatura. E mai di Creatore.
Un anno che sorge è una speranza che rinasce. E la Scrittura Sacra parla chiaro: l’unica certezza resta il fatto che solo i coraggiosi porteranno avanti la speranza e solo sul loro agire si poserà la benedizione divina. Anche per la mia Chiesa – la Chiesa che amo, pur non essendo la Chiesa dei miei sogni – è sbocciato un nuovo anno. E il sogno di Dio è forse ancora quello degli inizi: che faccia carriera sul modello di Dio e non sullo stile dell’uomo. E se per fare questo si vedrà costretta a ripartire dai suoi giovani fedeli e ministri, tutto ciò non sarà un’umiliazione, ma la vittoria di un Dio che non l’ha mai sognata come un pezzo di museo che appassioni i cultori dell’antiquariato, ma come un’avvenente sposa dai lineamenti sempre vergini che sappia conquistare gli sguardi curiosi e appassionati di chi in Lei s’imbatte.
Per non morire di polvere.

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