Da che punto guardi la storia, tutto dipende. La storia, anche la vita, è questione di prospettiva: «In questo momento di malattia (…) la guerra appare ancora più assurda» ha scritto ieri Papa Francesco in una lettera indirizzata ad un quotidiano italiano. Dall’angolazione del limite, dal punto panoramico della sofferenza, dal fatto d’andare ad accarezzare la morte, “da qui” sembra dire il Papa: come se, per un privilegio che Dio riserva agli amici, in questo momento avesse la grazia di poter vedere le cose con più evidenza, con una luminosità diversa. “Da qui”: sembra la prospettiva del soldato al fronte, dell’alpinista sulla cima dell’Everest, di uno speleologo nel buio della grotta. Ci sono luoghi nei quali tutto appare con limpidezza maggiore, anche l’assurdo: «La guerra appare ancora più assurda». Va da sé che, passeggiando sul ciglio della vita, l’inutile scompaia e appaia con più evidenza il necessario: senza tentare di nascondere che l’assurdo faccia fortuna molto facilmente nel mondo. Anche l’opposto, comunque: se «l’assurdo regna in questo mondo, solo l’amore ci salva» (A. Camus). Dal fronte dove sta combattendo una sua personale battaglia, il Papa continua a incoraggiare il suo popolo, spronandolo a non temere di farsi esploratore nella sofferenza: lì, dove il pericolo è ai massimi storici, anche la bellezza batte forte i suoi colpi. Chi non s’avventura lì – sembra ricordare il Papa – è soltanto perche è pavido o fuggiasco: «Forse per questo tendiamo a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto». Parole chirurgiche, certosine: è quasi impossibile dargli torto, a vedere il mondo che va dietro supino a chi elegge come suo comandante.

Chi più in alto sale, più lontano vede: se la sofferenza è una scalata, chi vi si avventura in essa vedrà le cose con una vista più acuita. Sembra che, sotto sforzo, tutti e cinque i sensi si acuiscano maggiormente: più tatto, più gusto, più vista, più memoria, più udito. Sotto sforzo si vede meglio, si sente meglio, si ascolta meglio, si gusta meglio, ci si ricorda anche meglio tante cose. Non sono “parole da Papa”, sono parole che si abbronzano al sole dell’Eucaristia: il mondo, da parte sua, risponde con il dono dell’eloquenza che gli nasce dall’odio che coltiva, finendo per fare umorismo sull’insistenza con la quale Papa Francesco continua ad additare la direzione della pace: un umorismo da trincea, utile soltanto a rendere un po’ più sopportabile l’assurdo che si va costruendo. Il Papa lo sa bene che le peggiori canaglie hanno tutte le mani pulite e per questo, senza umiliare nessuno, prende per il collo l’assurdo e cerca di farlo apparire per quel che è agli occhi del mondo, assurdo per l’appunto, con la manutenzione delle parole: «Non sono mai solo parole: dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la terra». Parole meditate, scritte e spedite non da Mar-a-Lago, da Bruxelles, dall’Eliseo o da Palazzo Chigi bensì da un letto di ospedale, col corpo indebolito dagli anni, usurato dalle battaglie e angustiato da mille magagne. Con lo Spirito Santo, però, a fargli da assistente personale: “Con l’assistenza dello Spirito Santo” pensa, prega e agisce il Papa.

Irrideranno, ancora una volta, la sua visione: il mondo, com’è ovvio, ama confondere la profezia con l’ingenuità. Il disarmo non va di moda, il riarmo è un brand “che tira”, il Papa – dicono – deve pensare alle cose spirituali. Lui, nel frattempo – ch’è pur sempre il tempo di Dio – dall’alto del monte avvisa le truppe del nemico in arrivo: offre una strategia, elabora una tattica, ridisegna l’accampamento. Gli arnesi che usa sono usurati dagli anni, sono gli stessi da due millenni a questa parte: la brocca dell’acqua, l’asciugatoio legato ai fianchi, il bacio ai piedi. Quando il tempo stringe, basterà un bacio per sintetizzare il tutto, come quella volta che baciò i piedi dei leader del Sud-Sudan: lo bollarono come un tocco di romanticismo sudamericano soltanto perchè la speranza, nell’inferno, apparirà sempre per qualcuno un errore. Da un letto d’ospedale il guerriero di Dio mai cesserà di chiamare a raccolta il mondo: da solo non può farcela, c’è di mezzo la libertà dell’uomo, che va rispettata.

Anche perchè, lo sanno bene gli argentini, per ballare il tango occorre essere in due.

(da Il Sussidiario, 19 marzo 2025)

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