Il crimine l’aveva sbrindellato come un cane sbrindella i pantaloni. L’amore, da parte sua, aveva fatto lo stesso: fosse un vestito il cuore, si sarebbe detto che indossava una giacca logora che gli sbrindellava dappertutto. Ha fatto la storia del crimine, purtroppo: di lui, uno dei tanti che osò avventurarsi in questa sua storia sbrindellata, scrisse ch’è stata “diciassette gradini verso l’inferno”. Un gradino per omicidio, ogni gradino macchie di sangue, ogni fiotto un fendente al cuore di Dio. Per anni – lo rimarrà per l’eterno – è stato il mio fratello Caino. Al nome di battesimo, gli ho cambiato nome: non più Donato ma Caino, il mio Caino. Per la cronaca, è stato nero fluorescente: più nera di così non poteva renderla quella cronaca che l’ha visto primo attore protagonista. I suoi ritratti sono un effluvio di aggettivi qualificativi denigrativi al grado massimo: non soltanto bastardo (grado positivo), nemmeno il più bastardo (comparativo di maggioranza) ma bastardissimo (superlativo assoluto). Il male, quando arriva, non è mai al primo grado: è sempre assoluto. L’immaginava, Caino, che la vita fuori dal carcere per lui era preclusa: tredici ergastoli sono un Alcatraz dal quale è impossibile evadere, anche solo con la fantasia. Le donne, per lui, sono state mimose e coltelli, pistolate e carezze: il suo cuore si è andato perdendo in opposti tra loro inconciliabili. Non poteva immaginare, Caino, che le donne fossero così forti, fin quasi invincibili, come quando si armano della loro debolezza. Della debolezza di una malattia.
Lei, che della Madonna portava la seconda parte del nome (BiancaMaria), è l’avamposto di Dio quando Caino, decenni fa, arriva nella nostra patria galera di Padova: super scortato, ha la visiera del berretto abbassata il bastardissimo. Se il cancro della vita di Caino fu il male, un cancro fisico si è preso possesso del corpo di lei. E’ lei la prima ad entrare nella tana del lupo, a casa di Caino. Lui non capisce, stordito com’è dal vecchio idolo di sè, che la donna sarebbe diventata, nel tempo, la sua Cassandra di buone notizie: lui, con le donne, aveva sempre giocato, scherzato, ucciso. «Stava parlando con un ragno la prima volta che lo incontrai. Me lo mise in mano» mi confidò. Anche lui era un ragno: dondolarsi sul sottile filo della sua altalena di male, lo aiutava a consumare i suoi giorni. Lei, invece, fiuta che quel ragno avrebbe potuto diventare il trapezista in un circo: «Quant’è difficile qui dentro – disse – aiutarli a cercare di fare qualcosa di diverso da quello che fanno tutti». Lei, con lui, ci prova, ci prova eccome: «Glielo dissi a bruciapelo, un giorno che faceva il bullo: “Io sto lottando contro un cancro. Conoscerla mi è d’aiuto: da oggi non mi lamenterò più di questo male, lo offrirò per la sua conversione». Gli scienziati dicono che ci sono oltre tremila ragni per ogni essere umano in faccia alla terra: la donna, malata di cancro, si prende il ragno di Caino. Quel ragno ch’è diventato Caino nella ragnatela della galera.
Per settimane, per mesi, per anni: più di quindici. Si mette alle calcagna di lui: non lei contro lui, ma lei accanto a lui. In una galera di maschiacci, essere donna è praticare la minoranza: bisognerà, dunque, essere migliori per vantare diritto di uguaglianza. Lei, con lui, è la migliore: «Potresti essere mio nipote – mi disse nei miei primi giorni di galera -, accetta la sfida: se vuoi farti un’esperienza di quelle che servono, inizia da lui». Mi ci porta lei da lui, ci tornerò da solo da lui un’infinità di volte, senza di lei: mai, però, fiutai d’avere più breccia nel suo cuore sbrindellato della tenerezza di quell’anima scarnificata dal cancro. Poco tempo prima di morire, la accompagno per l’ultima volta da Caino: «Sento che sto per morire – gli disse a bruciapelo. E lui sbarellò di lacrime -: stai certo, comunque, che anche da lassù non ti mollerò: tu ti convertirai a Cristo». Morta BiancaMaria, di lei Caino mi dice: «Aveva due palle così (e fece un cerchio grande con le mani). Fidati di me: aveva due palle così negli occhi. Ha visto cose di me che manco io vedevo». Con le mimose, in galera, ci facciamo dei falò: con l’istinto di donne così, costruiamo le nostre bussole di navigazione. Mai visto – non soltanto in galera – così forti le donne come quando si armano della loro feroce debolezza.
(da Il Sussidiario, 8 marzo 2025)
(nella foto: La ronda dei carcerati, Vincent van Gogh, 1890 – Museo Puskin di Mosca)
Una risposta
Semplicemente stupendo.. E non parlo in senso letterario, ma per la realtà che trasmette…