Le chiavi di casa. Tra le cose che più mi dicono l’intimità, non ne conosco una che batta le chiavi di casa. Custodisco il cuore la volta – era la prima – che una persona mi diede le chiavi di casa sua, senza tentennamenti: “Tieni, questa è anche casa tua”. Quasi mi emozionai. Le chiavi di casa, di solito, ce le hanno i figli: se uno te le dà pur non essendo figlio, sospetto che sia una dichiarazione d’amore. Annunciazione d’intimità non da poco. Chiavi e paure: fare entrare qualcuno nelle proprie paure temo è confidenza superiore a quella di un letto. A Simon Pietro, il grande pescatore di Galilea, quella volta Cristo diede le chiavi di casa sua. Le chiavi della porta più impenetrabile di tutte: «A te darò le chiavi del regno dei cieli». All’uomo per natura molle come un budino, Cristo preannuncia la consistenza della roccia e, cosa ancor dolce, gli mette in mano le chiavi di casa sua dandogli pieni poteri: «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai nella terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 19,19). Basterebbe questo per intuire che grado di confidenza c’è tra Pietro e il Messia. Intimità che, per una sorta di trasfusione, passa di Pietro in Pietro. Fino alla fine.

Penso assai, in questi giorni, alla chiavi che Papa Francesco ha in mano. Sono le medesime di Pietro: chiavi consunte, logore, lisce per essere passate di mano in mano, di Papa in Papa. Son giorni, questi, nei quali al corpo di Papa Francesco è fatta, giornalisticamente parlando, un’autopsia da vivo, in perpetua diretta: i respiri che fa, il grado di sudorazione che produce, il caffè che beve. La tipologia del cibo che deglutisce, di quello che vomita, delle medicine prescritte. Questioni solide, liquide, gassose. Se ha gli occhi chiusi, aperti o semiaperti. A nessun capo di stato o uomo di spettacolo è mai fatta un’evidente invasione di privacy come al Papa. Sembra non bastare: la gente vorrebbe una foto, vedere com’è preso, poterlo tradurre in like ben sapendo che, fossimo al posto suo, chiederemmo il grado massimo di riservatezza. Oppure non si è malati davvero, come quando si postano foto dal pronto soccorso o dalle sale di degenza. Lui sa bene come va il mondo: è lui a chiedere che venga usata trasparenza nella diffusione delle notizie. Trasparenza che, lo dimentichiamo spesso, se sposata con una certa discrezione produrrebbe più abbracci familiari che canti notturni di gufi dannati. Il corpo del Papa, invece, è una casa ormai invasa: tutti a volere dire la propria, partendo da dei dettagli d’infinitesimale laconicità. Questione di moda, non di stile: «La moda passa, lo stile resta» scriveva Coco Chanel.

Mi disturba, per ragioni d’affetto (che non nascondo) questo accanimento: l’immagine del Papa che affoga nel vomito si poteva, forse, evitare. A non farmi naufragare, però, sono le chiavi della loro stanza segreta, di quello spazio – esente da autopsie – che si apre quando Pietro entra in zona off-limits: «Il Papa è andato in cappella a pregare (…) Papa Francesco ha ricevuto l’eucaristia». In questi attimi Pietro si isola da solo con Dio, parlano faccia a faccia. A nessuno, in questi istanti, è concesso d’entrare. Sono esattamente questi i momenti che ingarbugliano le previsioni giornalistiche, i sondaggi dei maghi, i botteghini degli scommettitori. Nessuno, eccetto loro due, sanno di cosa si sta parlando, di come stia davvero la situazione, di che tempo faccia all’orizzonte. E’ il mistero che attizza l’orante: «Sia fatta la tua volontà», materia impossibile da convertire in scoop. Pur avendo le chiavi, in quella zona anche Pietro bussa lo stesso: “Và piano, lì c’è Dio!” si ripete. Poi, dentro, è Dio: “Butta le chiavi, abbracciamoci!” La preghiera è la scatola nera del loro piano di navigazione. Dove il più piccolo dei cenni tra di loro potrebbe cambiare il senso dell’insieme: parafrasando Italo Calvino, nel pensiero di Dio gli avvenimenti sono disposti in un’ordine che non è cronologico ma che risponde a un’architettura spirituale. Certe tempeste, poi, arrivano per pulire il cammino non necessariamente per devastare il giardino.

(da Il Sussidiario, 3 marzo 2025)

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