Gliele si perdonano volentieri, al Cristo, le sue care esagerazioni: il fatto è che la verità, per risultare credibile, sembra nutrire il bisogno di venir spinta fino all’esagerazione. Fino quasi a trasformarsi in un paradosso: «Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» La dimensione edile di una trave contro la millimetricità, quasi, di un filo di paglia: ci vuole una certa arte anche nell’esagerazione, senza apparire buffi. Tipico di Gesù: quando perde la calma, tende a premere sull’acceleratore dell’esagerazione, di questo si tratta: un’esagerazione non è soltanto una forma di esasperazione, è anche una verità che ha perso la calma. E, sappiamo tutti, che quando si perde la calma si tende a perdere anche il senso della misura. Verrebbe da dirglielo a Gesù, dopo quest’argomentazione in materia: “Non ti sembra, caro Gesù, di esagerare un pò con questa metafora della trave e della pagliuzza? Anche, perchè, umanamente, già la presenza di una ciglia molesta l’occhio e sembra troppo: figuriamoci un filo di paglia, ancora di più una trave!” Il fatto è che Cristo è un poeta e il poeta vive di esagerazioni e fraintendimenti.

Che poi, alla fine, è difficile contraddirlo quando ragiona così forte. La sua provocazione della pagliuzza e della trave è chiara a tutti: magari Lui, questo sì, la rende più evidente, ingigantendola. Ma è lo stesso rapporto che, in Africa, si suggerisce quando qualcuno punta il dito verso l’altro: “Fai attenzione a quando punti l’indice contro qualcuno: tu punti un dito verso l’altro ma tre dita rimangono puntate verso di te”. Io punto l’altro con il dito indice, ma il dito medio, l’anulare e il mignolo vengono, spontaneamente, indirizzati verso di me: il rapporto, pure qui, è sproporzionato, uno contro tre. Della serie: per una cosa rinfacciata ad un altro, tre toccherebbe rinfacciarne a me, qualora fossi onesto. Cristo, anche qui, è un cacciatore dalla mira bestiale che, stavolta, ci mette in guardia per non fare brutta figura: certe volte la pagliuzza nell’occhio dell’altro non è altro che la trave che abbiamo nel nostro, soltanto messa di fronte a noi in dimensioni ridotte, per darci la possibilità di veder meglio di che trave si tratta. L’altro, per Cristo, è uno specchio nel quale (ri)vedere meglio noi stessi: ciò che, nell’altro, infastidisce – «Fratello, lascia che tolga» – è solo la restituzione, in miniatura, di ciò che c’è in noi. Per amore di correzione, Cristo permette che noi vediamo in un altro ciò che non accettiamo dentro noi, che addirittura ci manca al punto da ingigantirlo nell’altro: la storia dell’altro non è che lo specchio per capire meglio noi.

L’immagine della pagliuzza e della trave, poi, è anche un cartello di quelli d’appendersi un po’ ovunque: “Vietato lamentarsi”. Quaggiù, sempre per quella sproporzione tra pagliuzza e trave, l’altro è sempre peggiore di me e ognuno ha la pretesa di soffrire molto più degli altri. Per poi scoprire, facendo bene i conti e senza perdere la misura, che quelli che si lamentano di più sono spesso quelli che soffrono meno: «La prossima volta che vi si spezza un’unghia e vi rovina la giornata, fate un giretto qui in oncologia. E’ molto istruttivo» hanno scritto in una brochure sulla lungodegenza ospedaliera. Qui, per Cristo, la vita è soprattutto una questione di maestri: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non è che cadranno tutti e due in un fosso?» Difficile smontarne la durezza: «I girasoli con gli occhiali mi hanno detto che le lune senza buche sono fregature» (L. Corsi). C’è il maestro divenuto tale studiando la vita sui libri, e c’è il maestro divenuto maestro patendo sulla pelle la vita. «Stai attento alla luce» è mettere in guardia dalle vite così perfette, senza pieghe, da produrre effetti collaterali di notevole portata: «Non cadranno tutti e due in un fosso?» Per quanto riguarda il maestro, Cristo ha idee così chiare d’apparire persino insolenti: scegliersi il maestro vale molto più che scegliersi la scuola. Perchè scegliere un maestro, anche se non è di primo acchito, vuol dire scegliere chi si vuol diventare. Mica una quisquilia.

(da Il Sussidiario, 1 marzo 2025)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Vangelo di Luca 6,39-45).

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