Un lunghissimo corteo funebre ha invaso Roma cantando e celebrando l’epitaffio di se stesso. E scompaginando i piani e gli orari di un popolo dalla storia comune incapace di orientarsi tra voli soppressi, Eurostar appesantiti dai minuti e città in assetto di guerra. L’ennesima dimostrazione che un certo modo di fare protesta puzza più di stantìo che di vera creatività culturale. Morale della favola: giunta l’ora che volge al desìo – e che agli studenti bravi intenerisce il cuore – se ne sono tornati a casa con gli striscioni tra le gambe e il volto tumefatto dalla disfatta. Sotto gli occhi splendidi di quei poliziotti – tanti erano ragazzi come loro – che per un’intera giornata hanno retto le offese, la tensione e gli insulti di un intero popolo in balìa di se stesso.
E dei loro striscioni bagnati di vecchi slogan da ultras.
La giornata di ieri – conclusasi con l’approvazione alla Camera del ddl Gelmini – c’ha mostrato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, l’amarezza di una frangia politica inconsapevole e incapace. Sentire Bersani Il Sigaro che accusa il governo di aver creato un clima da guerra in strada (lui che è salito per farsi fotografare sul tetto di una scuola), di fomentare una rivoluzione pericolosa e paragonare l’Italia al Cile significa semplicemente aver messo la firma su un corteo fomentato dalle loro gesta, dai loro pensieri e dalle loro luride motivazioni anti-Berlusconi. Dispiace per la loro frustrazione nel vedersi incapaci di pensare-proporre-agire in modo convinto e convincente. Il Sigaro ha accusato la Gelmini d’essere una ignorante al suo confronto: farsi battere in mondovisione da una ignorante, allora, ricorda al signor Pierluigi Il Saggio che non sono i voti a decretare il successo o meno di un pensiero. Con buona pace per lui e per i suoi fedelissimi compagni che da decenni non sanno più mettere mordente alle parole (ma sanno indossare maglioncini in cachemire e frequentare salotti e pergole). Saranno pure capaci, ma un capace senza carisma non riesce ad accendere le folle se non istigando alla violenza. Rimarranno capaci (e il libretto universitario verrà esibito) ma dei capaci senza carisma. Cioè inutili nel tentativo di ri-appassionare i giovani alla cultura.
I bravi studenti ieri se ne sono stati a casa o nelle biblioteche a studiare: e il premier ha regalato loro il pensiero più bello. Persino Fini – non certo il portavoce del Silvio Nazionale – ha ammesso l’istigazione degli studenti, pur riconoscendone motivazioni e principi validi. Questa riforma non è forse la perfezione, ma per almeno un motivo vero ieri sera abbiamo detto “Grazie, ministro: il risultato è notevole”. Aboliti i concorsi, nascono i docenti in prova per sei anni. Bersani Lo Scalatore accusa di aver creato nuovi precari. Lo studente che sia tale festeggia perché dopo quei sei anni di prova, sulla cattedra ci rimarrà solo chi ha dimostrato competenza e passione nell’insegnamento. E gli altri se ne andranno a casa (applichiamo quello che loro chiedono ai parlamentari). Chi parla di precariato in questo è semplicemente un omicida del futuro dei giovani perché li vorrebbe umiliati a perdere tempo seduti sui banchi per sentire qualcuno parlare a vanvera per quaranta anni solo perché è figlio, nipote e nipotino di qualcuno. No, per favore: sulla cattedra ci stia chi è capace di trasmettere e appassionare. Ma se sono loro i primi ad accusare il governo di parentopoli, perché poi la parentopoli la vorrebbero salvaguardare dall’altra parte? La Riforma avrà bisogno di qualche ritocco in itinere, ma questo non ci farà mai credere che qualora salisse (oltreché sul tetto) anche al governo, Bersani sarebbe capace di fare una riforma migliore. Innanzitutto impari l’uso del congiuntivo, onorevole. E poi incassi la sconfitta da donne – ieri la Gelmini, l’altro ieri la Carfagna – che lei pensava solo belle e ignoranti. E che, invece, sotto sotto le hanno fatto marameo.
Per la gioia di chi ieri, chino sui libri, sognava di stare sulla cattedra sei anni e poi venire riconfermato. Perché capace.