La folla, i pubblicani, i soldati: nessuno di loro aveva programmato alcun cambiamento. Non c’era stato nessun incidente che li avesse portati a cambiare vita. Il cambiamento, in loro, fu la conseguenza di un incontro con una voce, ch’era una presenza, un anticipo di speranza: “Sta arrivando, preparatevi. Non distraetevi più di tanto, gente”. Sapevano, tutti loro, che ci sarà un qualcosa di più triste, domani, di andare in giro a dire che non si è mai avuta un’occasione nella vita: sarà andare in giro per dire che l’occasione si è avuta ma, distraendosi, ci ha sfilato sotto il naso, gli occhi. Non si è colta. Il cambiamento, dunque, divenne per loro l’amico di viaggio: «Che cosa dobbiamo fare?» chiesero a quell’uomo un pò naif che era Giovanni Battista, l’ultimo apripista del Cristo. Lui, vecchia volpe del deserto, colse letteralmente la palla al balzo, come fa una madre e un padre che aspettano per anni esattamente quella domanda dalle labbra dei figlio. Siccome glielo chiesero in tre – e ognuno di quei tre era diverso dagli altri due – restò alle altezze nelle quali era nato e viaggiava. La prima cosa che fece, fu quella di gioire assai del loro domandare: un uomo, una donna, che pone una domanda, è la voce di tutto il mondo che vuole migliorare. Potevano anche fregarsene di quell’invito a cambiare, ragionare come ragionano tanti: potevano anche giustificarsi dicendo che c’era chi faceva peggio di loro. Capivano però, visto che sprovveduti non erano, che il mondo si migliora confrontandosi con i migliori: con il confronto coi peggiori non si migliorerà mai. Il Battista, dunque, diede tre risposte personalizzate, come personalizzate erano le vite di coloro che gli domandavano il daffarsi. Risposta su-misura, niente affatto pret-a-porter: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha». Ai pubblicani: «Non esigete nulla più di quanto vi è fissato». Ai soldati l’invito a non estorcere: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno». Tutto qui.
Non chiese loro l’impossibile: “Vendete tutto e venite dietro a me. Girate la storia come un calzino. Fate il giro dei santuari mondiali a piedi, col cilicio legato all’altezza dei fianchi”. Chiese loro quello che, ispirato com’era, sapeva che era nelle loro possibilità di fare: diventare migliori di quello che erano, continuando a vivere la vita che avevano sognato di vivere. Da parte sua, visto che erano stati loro a chiederglielo, indossò la voce del navigatore d’auto. Quello che, quando si esce dal percorso consigliato per giungere alla meta, s’infila nei tuoi pensieri con quella vocina da grillo parlante: “Ricalcolo del percorso”. In parole povere, il suo fu un invito a non fare chissà quali cose nella vita, ma a fare le piccole cose di ogni giorno con un tocco d’amore in più. Sapendo che ogni azione della vita, anche se a noi sembra esagerato persino pensarlo, andrà a toccare qualche corda che poi vibrerà per l’eterno. Finendo per andare a modificare la traiettoria finale dell’esistenza di ciascuno. Dal giorno dopo, dunque, le cose sarebbero rimaste le stesse di prima: il Battista non promise nessun cambiamento immediato. A cambiare sarebbe stato lo sguardo, che avrebbe modificato il punto d’ingresso nel cercare le soluzioni ai problemi. Equivaleva, più o meno, a concedersi una seconda possibilità di vita. A darsi una seconda chance nell’affrontare la vita.
Nessuna paura, ricalcolando il percorso del cuore e degli affari, di perdere i vecchi amici di un tempo: “Quando qualcuno ti rimprovererà che tu sei cambiato, forse significa che hai smesso di vivere a modo suo” avrà risposto sottobanco il Battista. Che, secoli prima di Marilyn Monroe, ragionava controvento, senz’olio: «Lascio agli altri la convinzione di essere migliori, per me tengo la certezza che nella vita si può sempre migliorare» (M. Monroe). A chi, forse, presentava una sorta di scusa: “Non l’abbiamo mai fatto, però, Giovanni. Non abbiamo mai vissuto così”, il Battista aveva la risposta pronta, non una risposta precotta: “Per poter avere cose mai avute, occorre fare cose mai fatte, gente”. Invitava a migliorare il mondo partendo dal proprio cuore. Sognava, lui, di fare con il mondo ciò che la primavera fa con i ciliegi.
(da Il Sussidiario, 14 dicembre 2024)
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo (Vangelo di Luca 3,10-18).
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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).
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