Tennisticamente parlando, tra il sottoscritto e Jannik Sinner c’è ben più di un oceano. Nelle mie mani, una pallina da tennis varrà cinque euro: nelle mani di Jannik, un fiume di montepremi, contratti, tutto ciò che produce rimbalzando vittoriosa. Umanamente, invece, non ci sono oceani a dividerci, anzi: pur non conoscendoci, ci accomuna un episodio gigantesco. Riguarda la giovinezza, ha a che fare con la famiglia, il peso della libertà. Quando i suoi genitori l’affidarono a Riccardo Piatti, il credito chiesto non fu di farlo diventare un campione a tutti i costi, al pari di altri padri di sportivi. Gli chiesero infinitamente di più: aiutarlo a farsi il miglior uomo possibile, uomo completo. Quando, sempre a dieci anni, i miei genitori mi lasciarono libero d’inseguire il mio sogno e andare in seminario, mi salutarono così: “Non c’importa che diventi prete, ci interessa che tu diventi uomo”. Parole giganti, spaziose, d’una vastità terapeutica.

Mettere nelle mani di un bambino piccolo la sua libertà è un rischio folle. Ce n’è un altro, però, altrettanto incosciente: continuare a governare la libertà dei figli anche dopo la maggiore età. In fin dei conti non esiste scuola più bella dove imparare la libertà se non dandotela in mano tutta completa, per fartene sentire il peso. Il che non significa delegare l’educazione, lasciarti in balìa di te stesso ma è un mettersi a bordo campo, pronti ad intervenire in caso di cadute o di dubbi. In un’epoca nella quale i genitori insultano gli educatori, gesti che sono reati vengono derubricati a “ragazzate”, nella quale ancora ci si ostina a raccomandare i figli o chiedere loro di diventare ciò che papà e mamma non sono diventati, ritrovarsi tra le mani la libertà è allenamento alla responsabilità.

Nei campi da gioco o nello stadio della vita, ci saranno sempre due scelte possibili: accettare tutto ciò che accade e delegargli la libertà, oppure assumersi la responsabilità di provare a cambiare le cose. Sfida, quest’ultima, che non ti è data in automatico al compimento del diciottesimo anno ma vive della logica di Nicolò Fabi: «Tra la partenza e il traguardo in mezzo c’è tutto il resto. E tutto il resto è giorno dopo giorno, silenziosamente costruire». Dopo una certa età, tra l’altro, ognuno è responsabile della propria faccia. Meglio, dunque, saper di essersela costruita da sé per non trovare poi la scusa: “Ma io non volevo questa vita qui”. Capisco che non è da tutti avere genitori rispettosi della libertà dei figli: quando capita, infatti, ci si trova indebitati con la vita. Per tutta la vita da vivere.

(da Specchio de La Stampa, 24 novembre 2024)

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