L’eccezione che non conferma la regola. Nei Vangeli, tutti gli altri suoi colleghi – i tanto famigerati scribi – vanno a sbattere contro il Messia: troppa arroganza hanno cucita addosso. Con troppa arroganza, pur condita da intelligenza, fanno brutta figura, finendo per formare la premiata ditta nata e cresciuta apposta per tentare di mettere nel sacco Cristo: scribi e farisei, per l’appunto. Costui, invece, è l’eccezione: pur scriba, mostra d’essere rispettoso. Pur avendo studiato come tutti gli altri, non si mostra saccente ma mette in circolo la sua curiosità. Lui vuole sapere, dalla viva voce di quel profeta, «qual’è il primo di tutti i comandamenti». Lui, i comandamenti, li conosce a menadito: figurarsi! Conosce tutta la storia di quei comandamenti. All’inizio, sul Monte Sinai, Dio consegnò a Mosè le Tavole della Legge, nelle quali eran incise le celebri Dieci Parole. I farisei, secoli dopo, volendo concretizzarli nella vita quotidiana, avevano partorito una legislazione composta di 248 precetti e 365 divieti, tutti con lo stesso identico valore. C’è da credere che fosse una vera e propria impresa capirci qualcosa. Una situazione macchinosa, anche un po’ astrusa. Quando, nel Vangelo, lo scriba si avvicina a Gesù, è per cercare di fare un pò di chiarezza in questo labirinto: «Qual’è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù, ch’è fortissimo nel fare sintesi, li riassume tutti in due: «Amerai il Signore tuo Dio (…) Amerai il tuo prossimo come te stesso».

Il problema – il segreto – ci correggerebbe Gesù, non è quello di arrivare a fine giornata, di fare la spunta sui comandamenti osservati, per poi metterli nella lista dei meriti e farglieli arrivare. I comandamenti, quando Dio li ha consegnati, l’ha fatto perchè fossero delle indicazioni, un argine, tutt’al più una segnaletica per non perdere completamente la traiettoria del Cielo. Non erano imposizioni o regole: l’amore doveva rimanere quando tutto scompariva. Tutto doveva essere al suo servizio: il problema capitale, da quando esiste il mondo, è amarsi. Ma è un’urgenza: “Affrettiamoci, dunque, ad amare” sembra sottolineare il Cristo allo scriba. Che, sincero come pochi suoi colleghi, sembra essersi smarrito in quella selva di prescrizioni, cavilli, altro: le ha studiate tutte, potrebbe fare ripetizione al Cristo, invece gli fa capire di non riuscire più a capire. Sa, quello che sa, è di non sapere più qual’è l’essenziale: «Qual’è il primo di tutti i comandamenti?» E Gesù, che non aspettava altro, gli fa una sintesi spettacolare: “Ama!” In ordine di importanza: “Ama Dio, che altro non è se non l’invito a lasciarti amare da Lui per poi amare te stesso perchè capaci di vederti come ti vede Dio. Amare, poi, il prossimo sarà la conseguenza di questo amore traboccante”. Qui, nell’amore, è riassunta tutta la Legge e tutti i profeti. «La pienezza dell’amore del prossimo è semplice. È essere capaci di domandargli: “Qual’è il tuo tormento?» (S. Weil) Un lavoro che ha a che fare con occhi, orecchie, dita: devi mettere l’occhio, le orecchie, le dita tra la pelle e il cuore dell’altro. Per rendersi conto che non puoi fare del male a qualcuno senza farlo a te. L’amore non vuole avere, vuole amare.

Lo scriba, ch’è scaltrissimo, chiude la partita: «(Questo) vale più di tutti gli olocausti e sacrifici». Con un complimento bellissimo firmato da Gesù Cristo in persona: «Non sei lontano dal regno di Dio». Non è difficile immaginare il volto di quel giovane scriba: illuminato, pieno di luce. Scopre di essere in sintonia con Cristo e questo, se uno ci pensa, non è poca cosa. Torna a casa caricato come un fucile: “I riti, le castagnate, le processioni, i fioretti non valgono nulla quando tu li metti a confronto con l’amore” è il riassunto di Cristo. Basterebbe così poco per avvicinarsi al Regno di Dio: cercare l’amore, interrogarsi sull’amore, amare, lasciarci amare da Dio. Un punto tale di chiarezza, in materia, nessuno l’aveva ancora raggiunto: Cristo, allo scriba, offre il proverbiale filo d’Arianna per poter uscire dal labirinto senza perdersi per strada. Un filo così convincente che dopo aver sentito l’eco di questa risposta «nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo» (cfr Mc 12,28-34). Non è da tutti una capacità di intesi così.

(da Il Sussidiario, 2 novembre 2024)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo (Vangelo di Marco 12,28-34).

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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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