Cristo, a ben guardare, dimostrò d’essere l’uomo della rotta, con una rotta ben precisa in testa. Gli amici, invece, dimostrarono ben presto – quando Gesù era ancora in vita – d’aver perduto completamente la rotta, anche la bussola: «Il colonnello Aureliano Buendìa, smarrito nella solitudine del suo immenso potere – scriverebbe Gabriel Garcia Marquez – cominciò a perdere la rotta». Il fatto è il medesimo da una vita, da quando esiste il mondo: quanto più grande è il potere tanto più pericoloso sarà l’abuso. Il potere, il potere assoluto, quei due fratelli lo volevano in mano loro. Lo volevano al punto tale che, per evitare il messaggio non arrivasse direttamente a Cristo, glielo chiesero senza far tanti giri di parole: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Semplice il fatto: Cristo, per loro, non è nulla di più di un direttore delle risorse umane della loro azienda. E loro sono gli amici prediletti: cosa chiedono, dunque, di meglio d’una sistemazione a tempo indeterminato prima che cambi di ruolo il loro santo protettore? Ecco la risposta del Cristo: «Che cosa volete che io faccia per voi?» Non s’accorgono che li sta misurando, pensando, conoscendo come mai prima d’allora: “Se tu vuoi conoscere veramente chi è un uomo – gli avrà raccontato il padre Giuseppe negli anni di stage nella carpenteria di famiglia – mettigli nelle mani il potere, Figliolo mio”. Con molta nonchalance, gli chiedono niente di più e niente di meno di ciò che alberga in quell’attimo nel cuore: «Di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra, uno alla tua sinistra». Degli altri dieci, chissenefrega: ciò che conta è sistemare noi due. Poi qualche santo sarà. L’unica cosa certa al momento è che questi due fratelli – ricordate la “madre dei figli di Zebedeo”? Il frutto cade sempre poco lontano dall’albero! – non hanno preso d’assalto solo la stanza dei bottoni: vogliono trasferirsi direttamente nella stanza delle cerniere lampo. Ci provano, magari non ci riescono: però ci provano. Che non si sa mai.

Cristo, dopo averli lasciati sparlare per misurare la loro altezza, impugna l’ambizione e la rispedisce al mittente, con tanto di motivazione annessa: «Voi non sapete quel che chiedete». Tradotto: “Voi due siete fuori come un balcone, ragazzi miei. Smettetela con questa storia dei primi posti, altrimenti vendo tutto e vado a vivere a Bali”. Strana storia quella dei primi posti, che poi tanto strana non è questa storia: l’umanità non vedrà la fine dei suoi guai fino a quando chi detiene il potere non diventerà amico del servizio. Non c’è posto per Dio in chi è pieno di se stesso: «Io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà» (U. Saba). Cristo, con gli amici pù stretti, fa una fatica assassina a far passare questo messaggio: più grande è chi più piccolo si fa. E il potere, il vero potere, è di chi si metterà in ginocchio per lavare i piedi, non di chi siederà e chiederà a qualcuno di lustrargli le scarpe. È un Cristo che, di domenica in domenica, diventa sempre più duro nel cercare di mettere un argine, un freno, all’ambizione smisurata degli amici in rampa di lancio. Nello statuto della sua azienda, la Chiesa, ha voluto che fosse scritto che ognuno sia il servitore degli altri. O diventerà un’economia solidale, la loro, oppure il mondo non avrà la possibilità di fiutare la differenza cristiana.

Poco importa se così fan tutti, se il mondo va così. Quando glielo dicono, per farglielo presente, la sua risposta non ammette repliche: «Tra voi, però, non sia così». Non giudica il mondo, non s’intromette nelle logiche del mondo, non dice che il mondo deve credere a Lui: semplicemente cerca di far capire che se il mondo ragiona così, lui non è tenuto ad andare dietro al mondo. E chi decide di andare dietro a lui, dovrà accettare di andare controcorrente al mondo. Fino a farsi ridere dietro dal mondo per come ragiona: “Servire è regnare! Che ridere, ragazzi!” dira sempre il mondo, sghignazzando. Cristo, da parte sua, reagisce con il sorriso dei giorni migliori. Come a ricordare che “ride bene chi ride ultimo”.

(da Il Sussidiario, 19 ottobre 2024)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Vangelo di Marco 10, 35-45).

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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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2 risposte

  1. Commento chiaro e tondo, molto semplice direi “terra terra” ma attuale come non mai non solo tra i potenti che comandano ….
    Sei un profeta dei nostri giorni. Buona giornata.

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