Tecnicamente “nessuno meglio di lui”. Il classico alunno che ogni maestro sognerebbe di trovarsi in classe, il genero perfetto per ogni madre che sogni sua figlia accasata, l’uomo che in vita sua non ha mai fallito un obiettivo tra quelli prefissati: sempre a puntino, in orario, sul pezzo. Quand’era piccolo, agli incontri di catechismo in parrocchia, era il primo che arrivava, l’ultimo che se ne andava, il più preciso nell’imparare a memoria tutti i comandamenti. Perchè questo era il grande obiettivo di inizio anno catechistico che si era data la sua catechista, la signora Ermenegilda: “Per fare la Prima Comunione, bambini, è necessario che voi impariate a memoria i Dieci comandamenti!” Lui? Figurarsi: «Maestro, tutte cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» risponderà, un giorno, quando la sua Divinità gli apparirà davanti. Un tipo buono d’animo, di quelli che si fidano di chi si trovano davanti, di quelli che se c’è da sgobbare in parrocchia non si tirerà mai indietro. Dunque un tipo felice, anzi: felicissimo? Eh, invece questo proprio no: questo, tra l’altro, è ciò che lo farà sbroccare appena diventa grande. Tanto che, se potesse, tornerebbe dalla Ermenegilda, o direttamente dal curato, per chiedere se anche in parrocchia funzioni la clausola “Soddisfatti o rimborsati”. Perchè lui, strada facendo, si è accorto d’essere stato mezzo truffato: “Mi avete detto che se io conoscevo e rispettavo i comandamenti sarei stato felice. Io mi sono fidato: li ho imparati tutti a memoria, li ho osservati tutti, li ho anche fatti rispettare per quel che ho potuto ma, adesso, io sono triste. Ridatemi indietro il mio tempo!”

Porca miseria, come dargli torto: e di tutta questa fatica fatta che sarà?

E’ sincero come non mai il ragazzetto dai capelli ricci, ben pettinati: «Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna» chiede a suo Gesù, sciogliendosi in ginocchio di fronte a Lui. Gli preme la questione della felicità, l’appagamento del cuore, non vuole fare cilecca nella vita. Quello che gli hanno chiesto di fare, l’ha fatto tutto: gli avessero detto che i comandamenti erano cento, ne avrebbe osservati cento. Invece si sente truffato: “Tanta fatica per niente, cavoli?” Non propriamente se, leggendo bene, si porta a casa uno sguardo da batticuore: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò». Lo sguardo delle grandi occasioni, l’arma letale che farà crollare criminali e delinquenti, che manderà fuori giri il cuore di sgualdrine e della Madonna. Lo baciò con lo sguardo: «Si limitò a guardarmi. Quello sguardo mi disse tutto quello che c’era da dire» (C. Bukowski). In materia di seduzione, il Cristo ha questo vizio: di avere l’universo intero a disposizione e nascondersi in uno sguardo. Uno sguardo ch’è risposta alla domanda d’infinito del giovanotto: «Una sola cosa ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni e seguimi». Nessun invito a rientrare a casa, indire una bella asta con tutti i suoi beni e riportare i proventi alla Caritas parrocchiale. Gli propose molto di più: “Torna a casa, guarda tutti i tuoi beni negli occhi e ricorda loro: Da oggi non comandate più il mio cuore, sarò io a comandarvi. Non siete il mio Dio”. Tradotto, perchè Dio non è l’Ermenegilda. “Fantastico, ragazzo! Solo una domanda: per chi hai fatto tutto questo? Per sentirti dire bravo dalla zia? Ti manco io, non ti sei accorto?”

Caduto l’asino con tutta l’asineria vissuta.

E’ il classico miracolo che Cristo avrebbe voluto fare e non Gli è riuscito. Non c’è nessuna salvezza senza la libertà di rifiutarla: «A queste parole se ne andò rattristato: possedeva infatti molti beni». Se ne tornò a casa a braccetto con la tristezza, quest’appetito che nessun dolore riuscirà mai a saziare. D’allora, sarà possibile andare a messa tutte le domeniche, iscriversi a tutti i pellegrinaggi del parroco, recitare a memoria tutte le preghiere del catechismo e non sentirsi mai felici. Come sarà possibile dare a qualcuno il mondo intero in fatto di ricchezze e di opportunità e vederlo sempre triste: se non ci hai dato il cuore, con il cuore, ci avrai dato il nulla. Per Cristo, insomma, la felicità e l’amore non sono dei ricatti.

(da Il Sussidiario, 12 ottobre 2024)

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Vangelo di Marco 10, 17-30).

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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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