L’intelligenza di una persona – ne era convinto il mio professore di lettere – la si misura dalle domande che uno fa non dalle risposte che uno dà. E la domanda che Gesù fa ai farisei, riconosciuti animali da combattimento intellettuale, è intelligente e non ammette repliche o fraintendimenti: «Che cosa vi ha ordinato Mosè» chiede in risposta alla loro domanda circa la possibilità o meno che venga ripudiata la moglie. Non chiede ciò che ha ordinato Dio ma ciò che ha ordinato Mosè. Mosè, purchè la donna non venisse lasciata da sola in mezzo alla strada in balìa dei moscerini, aveva permesso di «scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Ottenuta la risposta da bambini secchioni, Gesù mette in campo il suo acume: non dichiara fallace la risposta di Mosè, ma ritorna al sogno di Dio. È la sua solita tattica: “Siccome, nel corso del tempo, si sono andate facendo modifiche al progetto originale, riprendiamo in mano il progetto iniziale e vediamo cosa c’è scritto”. Nel progetto iniziale, seppure lo si ritrovi un po’ sbiadito dallo scorrere del tempo e delle usenza, si legge ancora bene ciò ch’è scritto: «L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (…) L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». Poi, siccome le scuse son sempre all’erta – “Allora perchè Mosè ci dava questa possibilità e tu, invece, ce la togli, uffa?” – Cristo chiude la trattativa che non è mai partita: «Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma». Punto a capo. Domande?

Il Cristo, da parte sua, non ha mai nascosto il fatto che sia arduo andargli dietro: addirittura lo mette in calce ad ogni sua proposta, in modo che nessuno si illuda di sistemarsi la vita a basso prezzo. Chi l’accetta, però, sappia bene che non potrà dettare lui le regole del gioco: «L’uomo non osi separare ciò che Dio ha unito» ripete il sacerdote poggiando le mani sui due novelli sposi che ci sono appena giurati amore eterno: «Io Piero accolgo te, Pinuccia, come mia sposa. Con la grazia di Dio (eccetera eccetera)». Tradotto? In caso di emergenza, nel caso d’incidente, nel caso si voglia liquidare il matrimonio al pari di un’azienda, attorno al tavolo si dovrà essere in tre, non in due: lui, lei e l’Altro. Siccome Dio non ha chiesto d’entrare ma Gli è stato chiesto d’entrare, d’allora in poi Lui avrà il 33 per cento delle quote di quella storia d’amore. E non accetterà mai di non sedere al tavolo delle trattative. Mica è un giochetto rendere sacramento una storia d’amore: è, al netto delle ideologie, accettare che entri un socio che, da quel momento, possederà un pezzo di quella storia al punto tale da diventare parte integrante. Se qualcuno non ricorda d’avere accettato il suo ingresso in amore, eccola la firma: «Con la grazia di Dio, prometto di (eccetera)».

Vietato, dunque, sciogliere un’azienda di tre soci con soltanto due firme. Se è stato concesso tempi addietro, da Mosè, un motivo c’era: «Per la durezza del vostro cuore». Ci si dimentica spesso che il cuore, pur essendo muscolo, è il secondo organo riproduttivo: maschile, femminile. Quando il cuore s’irrigidisce, la centralina dell’amore va in tilt: piuttosto che niente – ragionava Mosè – meglio piuttosto. Ma se la poni a Cristo, la domanda, Lui non può che ricondurti al disegno iniziale. Alla sorgente, dove l’acqua è tersa: «All’inizio della creazione», e non alla foce o lungo il corso del fiume dove i detriti e l’incontrarsi coi tubi di scarico delle aziende l’hanno deturpata. Le scuse, che pure ci sono, non sono ammesse nelle storie d’amore dove Dio ha il 33 per cento: «Rispetterai l’amore degli sposi, il loro giuramento. Tra loro è dichiarato un patto in cui non hai diritto di parola. Non importa cosa lo mantenga, se interesse, abitudine, paura: tu non profanerai l’unione stabilita. (…) Rispetterai la parola pronunciata da loro, non la diminuirai togliendole valore» (E. De Luca). Per Dio l’amore è materia di prima qualità: nessun sconto, nessuna svendita. Troppo? Nessuno è obbligato a seguire Cristo, nessuno è obbligato a rendere l’amore sacramento. Quando lo si fa, però, è giusto ricordarsi che non è affatto una scenetta da soap-opera. Anzi.

(da Il Sussidiario, 5 ottobre 2024)

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro (Vangelo di Marco 10,2-16).

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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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2 risposte

  1. Caro don Marco quante coppie, oggi,in questa nostra era, si separano al primo intoppo, alla prima delusione??? Racconta, come solito con acuta precisione che vivono come una soop opera,una fiction…..io sono sposata da47 anni,per carità ho avuto i miei alti e bassi,i miei dubbi,ma la dignità è sempre stata una grande componente…quel 33 per cento da Lei ricordato. Buona giornata.

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