Figli del tuono: Giacomo e Giovanni

Una zoomata su una delle smargiassate più infauste che hanno reso famosi i “figli del tuono” (questo, infatti, il significato, un po’ marveliano, del soprannome – Boanergès – affibbiato ai due giovani da Cristo stesso): la pretesa di dire a Dio quale posto ci meritiamo noi.

Tu, per noi

«Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo» (Mc 10, 25)

Sono ancora – soltanto – discepoli, eppure non perdono tempo e – già – avanzano diritti, domandano imperiosamente al Maestro un occhio di riguardo, nei loro confronti.

Nel vangelo di Matteo[1], pare che la “raccomandazione” sia richiesta, addirittura per conto terzi (da mammà). Come sia andata veramente, forse, non lo sapremo mai.
Quel che è certo è che – ormai – si sentono nella situazione di poter guardare oltre. Il crepuscolo si avvicina; nel caso le cose si mettano male, meglio tutelarsi subito e mettere in chiaro i “diritti” di successione rispetto al magistero. Del resto, vorrà pur dire cosa la priorità acquisita con la prematura vocazione? Loro prima degli altri, equivale a sentirsi avvantaggiato rispetto a chiunque sia venuto dopo: facile salire sul carro del vincitore, quando ormai il suo carisma è diventato inarrestabile! Loro no, loro hanno avuto l’ardire di fidarsi di Cristo, quando ancora non aveva nulla da dire… avranno ben diritto ad avanzare richiesta di privilegi sulla base di questa loro scommessa di fiducia iniziale, no?

Sedere alla tua destra e alla tua sinistra

“Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (Mc 10, 38)

A destra e a sinistra, con riferimento al governo, implica, naturalmente, l’acquisizione dei posti più importanti possibili. Unica esclusione – bontà  loro – non aver voluto direttamente scalzare quello di Cristo, in quest’accezione considerato come re- governante, nel Regno di Dio.

Il fraintendimento del Regno: calice e battesimo

Un calice da bere, un battesimo da ricevere: sono le figure che utilizza Cristo per provare a mettere in luce il fraintendimento e fuoriuscire dall’equivoco in cui i due fratelli si erano – fino a quel momento – improvvidamente infilati. L’uscita infelice raccoglie il disappunto più generalizzato; per chi ha dato un’occhiata a qualche altra pagina di Vangelo, non è difficile comprendere, però che, come spesso accade, quei due dall’impulsività incontrollata non avevano fatto altro che rendere esplicito il pensiero che accomunava molti, di quei cuori inquieti: che si fa dopo Gesù di Nazaret?

«Tra voi però non è così»

Umano, troppo umano cercare un comprensibile riconoscimento per quanto fatto, per quanto rischiato. È storia di tutti i tempi la corsa al potere, il tentativo di primeggiare, se necessario a scapito degli altri. Cristo propone un altro stile. Un regno che è servire. Un potere che si abbassa, un governo che non spadroneggia. Una comunità che cerca di seguire le orme di un Maestro che  lava i piedi[2]. Una sfida tutt’ora aperta alla volontà di dominio del cuore umano, che, da Caino[3] in poi, fatica a far spazio a quell’alterità, che, pure, gli è necessaria per dire se stesso.

L’esempio di Fr. Tommaso

Racconta il confratello Reginaldo, suo fido segretario, di come la correttezza dei propri scritti costituisse una ricorrente preoccupazione, per il santo filosofo. Un giorno, il Crocifisso lo rassicurò al riguardo, anzi, gli chiese cosa volesse in cambio, per avergli reso un bel servizio di predicazione. Tommaso rispose: “Nient’altro che te!”[4].

Quest’aneddoto, forse per qualcuno inedito del santo visto come intellettuale e – a detta di molti – intellettualista, mostra una sottolineatura mistico-affettiva per nulla banale che, forse, può aiutarci a penetrare (con realismo) il brano evangelico.

In sé e per sé

Amare Dio, per Dio, anzi: come ebbe modo di dire Jeanne Mance (1606-1673): «Cercare il Dio del Paradiso, non il Paradiso di Dio»; un paradosso “da santi” per dire di cercare una gratuità che ricalchi quella di Dio. Del resto, se “Cristo ci ha liberati, affinché restassimo liberi”[5], perché non potrebbe chiedere a noi di “amarlo per l’amore” e non per un secondo, terzo fine? Non con l’obiettivo di fare carriera. Né per riempire un vuoto. Neppure per la vanagloria o la ricerca di un’attestazione personale o professionale, in nome della quale soggiogare chi ci sta attorno.

Impossibile? No… anche se, forse, ci sembrerà di essere più inclini ad emulare le gesta “mercantilistiche” dei Figli del Tuono che l’abbandono fiducioso dell’Aquinate, va ricordato che Dio fa grandi cose, con piccoli uomini, perché la Sua forza si manifesti nella palese debolezza[6].

E allora… quale migliore attestazione che c’è – sempre – speranza per tutti?


Rif. letture festive ambrosiane (Vangelo: Mc 10,35-45), nell’ VIII domenica dopo Pentecoste
Fonte immagine: Angelstudios


[1]  Vd. Mt 20, 20-23
[2]  Vd. Gv 13, 1-15
[3]  Vd. Gen 4
[4] “Bene scripsisti de me, Thoma; quam ergo mercedem recipies?” Il santo rispose: “Non aliam nisi te, Domine” (Tommaso, tu hai scritto bene di me, che ricompensa vuoi? Niente altro che te, Signore).
[5]  Vd. Gal 5
[6]  Vd. 2Cor 12,9

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