E’ un gioco che, da quando ho fatto la maturità, adoro ripetere ogni anno: “Fossi sui banchi di scuola alle prese con la maturità scolastica, quale traccia sceglierei?” La tentazione, quest’anno, era ghiotta: Ungaretti, dovunque lo trovi, mi è sempre d’illuminazione con quella sua capacità di condensare la vita in poche parole, sforzandosi di farti incontrare un lampo di luce e d’allegria dentro i naufragi della vita. E’ un toccasana Ungaretti. Quest’anno, però, la parolina “imperfezione” temo sarebbe riuscita a distrarmi per una mattinata, tradendo il mio poeta amato: «Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte infinita di gioia – scrisse Rita Levi Montalcini in una sua opera -, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione». L’imperfezione, lodata da chi ha fatto della perfezione scientifica il suo credo, avrebbe fatto inciampare la mia scelta.
La perfezione, oggi, è un’ossessione. Lo è sempre stata, fino a diventare anche una dipendenza: il fisico perfetto, la pagella perfetta, una vita perfetta. Il rischio che la perfezione diventi una dipendenza, come una casa che, a forza di pulirla e ripulirla, non riesci più a gustarne l’abitabilità perchè la sua pulizia viene prima del sapore di casa che essa ti ispira. A diciotto anni, ricordo, ero convinto che credere nella perfezione conducesse alla felicità. Scordandomi, tra l’altro, che Cristo è venuto per chi non capisce al primo colpo, per chi inciampa, per lo slabbrato, per chi è difficile da abbracciare. Dimenticandomi pure – tutto preso com’ero da quest’ansia di perfezione – che anche le storie d’amore iniziano con: “Ti pensavo perfetto: per questo ho iniziato ad amarti. Ti ho scoperto imperfetto e non sono più riuscito a smettere a smettere”. L’imperfezione di un dettaglio, di uno spigolo del carattere, di una caratteristica. Di uno sbaglio commesso.
Una patria galera è oggi il mio esame di maturità: storie imperfette al limite dell’infamia, gesti di crudeltà immensi. Eppure, dentro quest’imperfezione, abita il dramma della vita: la voce che trema, la calligrafia irregolare, il fiato pesante di chi arranca. Nulla di ciò che ci è di casa, in carcere, è perfetto: «Ama l’imperfetto tuo prossimo con l’imperfetto tuo cuore» scriverebbe John Green. È la vita ad essere tale: tutto ciò che faccio è la copia imperfetta di ciò che avevo pensato di fare. Fossi perfetto, sarei forse noioso: “Sei perfetto, mi fai sentire impotente” mi potrebbero rinfacciare. Regalando a me stesso la mia solitudine.
(da Specchio de La Stampa, 22 giugno 2024)
Una risposta
Ogni giorno ricevo la prova della mia personale imperfezione. E quando qualcuno non riconosce questa mia caratteristica, mi sento in colpa delle mie poche imperfette abilità, che sono solo un tentativo per dire che ci sono anche io. Per questo ti capisco, don Marco… nemmeno io voglio essere relegata nella mia solitudine. Perché anche io sto facendo la maturità, e non so se ho intenzione di terminarla. Grazie dell’ ascolto.