ocaFosse ancora viva Oriana Fallaci – colei che un giorno scrisse che “essere donna è un’avventura che non annoia mai” – non sappiamo se, nel mentre Muammar Gheddafi si trastullava al tepore della capitale, si sarebbe indignata più per le sue esternazioni originali (coerenti con il suo essere rais), per il comportamento bizzarro di chi l’ha invitato (sembra all’oscuro del Quirinale) o per quelle cinquecento ragazze – che si spera un giorno diventino donne di quelle da lei profetizzate – che per meno di cento euro e condannate al mutismo assoluto hanno accettato di riempire, al pari di oggetti presi a noleggio, la sala del Consolato Libico per assistere alla fantomatica megalomania di un dittatore discutibile oramai non solo sul versante del terrorismo internazionale. Ma anche circa la conoscenza della storia dell’ultimo secolo appena trascorso.
Ammesso che essere rais sia sinonimo di onnipotenza e che chi invita possa accettare l’inedito di un uomo sopra le righe, rimaneva la bella possibilità di fargli trovare un pollaio vuoto ad attenderlo: nessun rais che sia tale vi sarebbe mai entrato ma, sopratutto, avrebbe intuito con eleganza sopraffine che le menti delle nostre donne non sono prostituibili al primo che promette “islam et circenses” a tutti. Un pugno di euro fanno sempre comodo: ma solo l’intelligente capisce che la dignità non porta con sé prezzo di svendita. La loro vergogna se la sono firmate da sole quando, nel mentre uscivano pizzicate dalle telecamere (i giornalisti fanno il loro lavoro) si sono nascoste il viso, hanno sgattaiolato via, hanno cercato in tutti i modi di non attestare ai posteri la presenza a quell’orripilante scenetta a pagamento. Perchè essere donna è saper custodire la dignità, l’onore e la bellezza di un fascino che da millenni riesce a scrivere pagine di storia, di umanità e di cultura.
Nessuna s’è scusata, nel pieno rispetto della strafottenza di chi le ha invitate e, quasi certamente, costrette ad entrarci passando per una selezione da laboratorio: tutte belle, avvenenti, sorridenti. Maledettamente noiose nella loro perfezione. Eppure le scuse erano doverose e da rivolgere a tutte le altre migliaia di donne italiane che si sono sentite offese da quell’indegna rappresentanza. Perchè quelle cinquecento – che alla fortezza femminile che ha firmato l’emancipazione hanno preferito lo starnazzare delle oche nel lago – non le rappresentano per nulla: le donne che quasi tutti noi conosciamo sanno sporcarsi le mani sulle frontiere, diventano eroi varcando la porta di un ospedale, tengono quel “genio femminile” capace di dare la vita per proteggere la vita. A volto scoperto recano quel profumo che le ha fatte entrare di diritto e a testa alta nella più bella letteratura quotidiana: i panni da lavare, la prole da educare, la vita da scrivere. E tutto ciò con la fermezza di chi non cede, con la passione di chi s’applica per reinventarsi un lavoro in tempo di grossa crisi, con la speranza che un giorno il volto di una donna possa valere più per l’avvenenza interiore che per dei lineamenti che tanto piacciono ai satrapi. E il nostro Vangelo racconta con commozione l’ardire e l’amore delle donne.
La loro non è l’immagine della donna italiana: e chiediamo scusa a tutte le donne per non averle sapute difendere nei modi giusti in questi giorni. Ma ci auguriamo che quelle cinquecento abbiano preso un volo diretto per Tripoli: perchè noi delle donne di casa nostra – fossero anche semplicissime massaie – teniamo fermo orgoglio. E smisurato affetto per quel sapore onesto che non le fa inginocchiare di fronte a nessun rais: perchè loro sono donne. Non merci di scambio negli outlet dei trattati.

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